CRONACA

Insabbiature, intimidazioni e…un nuovo rinvio. Ancora lontana la verità sulle sorti di Davide Cervia

DAVIDE RAP

 

di Federica TETTI

 

È stato aperto oggi, ma subito rinviato il processo intentato davanti alla seconda sezione del Tribunale civile di Roma dalla famiglia Cervia per cercare di far luce su una vicenda giudiziaria dai tratti cupi e loschi che si protrae da 22 anni, senza aver ancora fornito quelle risposte che possano placare la sete ardente di verità e giustizia nonché l’angoscia di un’intera famiglia, la cui vita è stata segnata indelebilmente.

I fatti sono tristemente noti da quel lontano 12 settembre 1990, giorno in cui Davide Cervia giovane tecnico, appena trentenne ma altamente qualificato ed esperto di “guerra elettronica”, sparisce nel nulla, risucchiato in una sorta di buco nero appena uscito dalla sua casa di Colle dei Marmi, nelle campagne tra Velletri, Genzano e Lanuvio.

La famiglia non si è mai arresa e nonostante l’archiviazione del caso ha continuato ad indagare privatamente e a seguire ogni pista attendibile seppure minima al punto che, lo scorso aprile, lo studio legale di Alfredo Galasso ha citato in giudizio i ministeri della Difesa e della Giustizia affinché risarcissero  “i danni patrimoniali e morali sofferti dalla moglie Marisa e dai suoi ragazzi, Erika e Daniele, per la violazione del diritto alla verità”.

Causa del rinvio, a quanto apprendiamo dalla moglie Marisa Gentile, è stata l’indisponibilità del giudice titolare del procedimento. A questo punto, visti gli elefantiaci tempi della giustizia italiana, bisognerà attendere la prossima udienza, fissata per il 30 aprile 2013 per la costituzione delle parti.

Le indagini ufficiali sono ferme al 5 aprile del 2000, data in cui il Giudice per le indagini preliminari di Velletri ne decreta l’archiviazione col seguente sigillo: Davide Cervia è stato rapito da ignoti. Un pesante macigno viene posto sull’intricata vicenda. Sebbene venga  riconosciuto il sequestro di persona, dapprima ostacolato in ogni modo, e sebbene si riconoscano le lungaggini delle investigazioni iniziali, ormai per la Procura sembra essere troppo tardi per stabilire come siano andati realmente i fatti. Ad annebbiare la vicenda arriva poi la dichiarazione di morte presunta.

Un anno fa, precisamente il 26 ottobre 2011, i figli di Davide scrivono una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Pretendiamo una risposta concreta – si legge nella missiva – affinché si faccia finalmente luce su questo agghiacciante mistero di Stato”, ma la risposta non appaga questa famiglia da sempre convinta che la scomparsa sia in qualche modo legata al periodo trascorso da Cervia alle dipendenze della Marina Militare. La rabbia e la voglia di verità sono gli unici due elementi che danno la forza alla moglie e ai figli per non arrendersi. “La lotta durerà a vita – ha dichiarato Marisa Gentile – finché non si avranno delle risposte istituzionali”.

Il 16 ottobre scorso proprio in prossimità dell’udienza odierna va in scena quello che in molti hanno visto come l’ennesimo atto intimidatorio nei confronti della famiglia: una forte esplosione investe il locale cucina nel giardino di casa Cervia. La finestra con la sua intelaiatura viene strappata via mentre tutto il resto dell’ambiente resta perfettamente intatto (pesantemente danneggiata persino l’automobile di Alberto Gentile, suocero di Davide). Le forze dell’ordine intervenute asseriscono si sia trattato di una di fuga di gas o ritorno di fiamma, però, dalla sera successiva,cominciano una serie di telefonate mute al numero del fratello di Marisa Cervia che tutto fanno pensare, men che mai ad un evento accidentale.

 

“Oggi i ministeri della Difesa e della Giustizia hanno presentato una memoria difensiva oltremodo vergognosa. Sono delusa terrorizzata e anche agghiacciata da quanto sta avvenendo – ha commentato Marisa Gentile piena di rabbia, poco dopo l’ennesimo rinvio –. Probabilmente dietro la storia di mio marito c’è una verità talmente grave che noi cittadini non dobbiamo venirne a conoscenza. Siamo delusi, ci sentiamo abbandonati, amareggiati, vogliamo delle risposte istituzionali, da quegli organismi che hanno fatto di tutto per insabbiare e depistare le indagini. È un documento inaccettabile e indecente, quello presentato dai due Ministeri, dopo una sentenza pronunciata nel 2000 che ha già riconosciuto il sequestro di persona. Questi due enti ritornano a scandagliare nei fatti personali, non tentando di riavvalorare l’ipotesi dell’allontanamento volontario. Noi familiari siamo stati tacciati come i maggiori responsabili della lentezza investigativa e di essere causa di informazioni fuorvianti. È un intollerabile insulto all’intelligenza. Non un caso che la maggior parte del materiale investigativo sia stato prodotto proprio da noi familiari e da molti giornalisti onesti che  avvertono il proprio lavoro come un impegno civile e un servizio alla cittadinanza. Speriamo adesso di non essere lasciati soli, vogliamo che vengano accertate ufficialmente da parte dello Stato tutte le responsabilità”.

E’ una Marisa Gentile che non perde la determinazione per non arrendersi alla verità che qualcuno le ha preconfezionato quella che non nega di aver “paura, visto che nessuno ci tutela. C’è uno Stato parallelo che rema contro la verità su questa vicenda, visto che basterebbero pochi tasselli essenziali,  un granello minimo di verità. Le nostre aspettative sono pochissime – ha infine concluso la donna – ma nè io nè i miei figli abbiamo intenzione di arrenderci”.

C’è da augurar loro che sia quantomeno una giustizia divina, visto che quella terrena non è apparsa sinora in grado di dare risposte plausibili e sostanziali.

 

 

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Davide Cervia nasce a Sanremo nel ’59, dove risiede con la famiglia fino al ’78, quando si arruola come volontario in Marina. Nel 1982 conosce Marisa Gentile, che sposa poco dopo. Dopo il matrimonio decide di congedarsi e nel 1988 si trasferisce a Velletri, dove lavora nella società Enertecnel Sud, che ha sede ad Ariccia. Davide viene visto l’ultima volta alle 17 del 12 settembre 1990. “Ho visto un gruppo di persone che lo spingevano con forza dentro una macchina color verde. Urlava tanto, faceva resistenza, tentava di difendesi. Poi, forse perchè mi aveva visto o forse perche sperava che fossi nel giardino,mi ha chiamato urlando tre volte il mio nome”. Così Mario, un vicino di casa dei Cervia. Le indagini sono lente, frammentarie, senza un filone preciso, se non quello di voler circoscrivere la scomparsa ad un allontanamento volontario. Eppure tutti gli indizi fanno propendere per il contrario, con Davide che proprio in quei giorni era tutto intento a procedere con  dei lavori nella propria abitazione. La sera prima si era addirittura ritrovato a parlare con Marisa di come avrebbero festeggiato l’anniversario di nozze. Nulla  che facesse presagire un allontanamento volontario. Eppure gli inquirenti sembrano sottovalutare tutte le piste che portano al rapimento, con indagini lacunose e tutte incentrate ad una parziale versione dei fatti. Marisa non ci sta e solo casualmente viene messa sulla pista giusta da un ex collega di Davide ancora in servizio, che non ha dubbi nel mettere in relazione la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione. Da lì accadono cose strane. Qualche tempo dopo un ispettore della Digos incontra Marisa. E’ insistente: vuole sapere il nome di un ex collega di Davide che prestava servizio a la Spezia ma che e’ di Napoli. Una descrizione precisa che permette a Marisa di capire subito a chi si riferisce l’ispettore. Si tratta di una persona che ha fornito alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, rivelatesi di estrema utilità. “In quel momento – ricorda Marisa – ebbi la certezza che le mie conversazioni fossero ascoltate”. In seguito si presenterà a casa di questo ex collega di Davide un uomo, con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno: in realtà e’ un uomo con incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo e’ di intimorire il marinaio, la missione può considerarsi un successo. Da quel momento chiederà a Marisa di non contare più su di lui. 

Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta Marisa solo dopo sei mesi dalla scomparsa del tecnico. Il sostituto procuratore Romano Miola, che segue il caso, l’attende nella sua stanza ma non e’ solo. Con lui e’ il procuratore capo, Vito Giampietro. Fin da subito il contatto con la procura non e’ sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di rispondere alle domande con un “si’” o con un “no” e ad ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, viene bruscamente invitata ad attenersi alle richieste. Al convento dei Cappuccini, con destinatario Padre Clemente, arriva intanto una lettera anonima da Grottaglie, provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, “agganciato” da strani e misteriosi individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il fatto che non sia firmata e’ giustificato dalla paura di essere individuati e di esporsi a rischi elevati. La speranza dell’anonima scrivente e’ che l’inchiesta vada avanti e che “i magistrati indaghino meglio nei servizi segreti”. 

Lo Stato Maggiore della Marina fornirà’ ai familiari di Davide ben 4 fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene  ammessa la qualifica di “specialista Ete/GE” (tecnico elettronico/guerra elettronica)”. L., un altro collega di Davide Cervia, riferisce: “Il nostro corso in Marina militare era inizialmente di 900 persone. Gli Elt, i tecnici elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90. Dopo un anno 50. Alla fine abbiamo portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo fieri di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar tridimensionale. Quello che non capivamo era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati invitati a compiere “gite turistiche” con le navi, che avevano lo scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non immaginavamo per niente il giro di soldi che c’era dietro al traffico d’armi. Per un paese straniero e’ quasi impossibile formare dei tecnici, perche’ ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere elettronico riesce a leggere i manuali delle apparecchiature. Ci sono delle chiavi precise. Davide era capo-corso, il primo degli allievi”. Nonostante l’importanza delle sue affermazioni gli inquirenti non danno grande peso alle sue rivelazioni ed anche L. verrà minacciato tanto da essere costretto a vivere nascosto. Gli inquirenti prestano invece ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di Taranto. Spunta fuori il 22 gennaio 1991: per chi propende per l’allontanamento volontario (ed anche a Velletri, sulle prime, sono in tanti) sembra essere la persona giusta al momento giusto. Con la sua versione tutto torna per chi tende alla tesi dell’allontanamento volontario: nessun intrigo internazionale, nessun rapimento. Ci sono pero’ molti dati di fatto che hanno permesso di appurare come Carbone non abbia mai conosciuto Cervia. 

 Quando alla moglie di Cervia arrivano le minacce di morte che investono tutta la sua famiglia, decide, per alcuni giorni, di non mandare i figli a scuola. Alla trasmissione televisiva “I fatti vostri” Marisa Cervia racconterà poi di aver ricevuto l’offerta di un miliardo per non cercare Davide”. Nonostante due appelli di Papa Giovanni Paolo II e le promesse di tanti governi (un sottosegretario chiese addirittura il silenzio alla moglie di Cervia, in cambio dell’impegno a trattare con la Libia per la liberazione dell’uomo), l’unica certezza giudiziaria è quella con cui il Gip di Velletri dispose l’archiviazione del caso: Cervia fu rapito da ignoti. Per essere venduto a un Paese straniero a corredo di armamenti che conosceva soltanto lui. 

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