POLITICA

Trivelloni e quelle riflessioni profetiche: ‘quella sottile differenza tra furbizia e intelligenza, tra cose utili e cose giuste…’

lamberto sezione 2

 

Che Lamberto Trivelloni fosse capace di passare dalla politica nazionale a quella locale (e viceversa), con un battito di ciglia, e la capacità di argomentare al meglio quanto dichiarato, lo sapevamo da tempi non sospetti. Già in passato ne diede conferma,  preconizzando al meglio quelle che sarebbero state le successive prove della politica italiana. Lui, in qualità di dirigente nazionale dell’Udc, fattivamente impegnato a traghettarlo verso quello che sembrava l’ormai imminente Partito della Nazione  non s’era negato ad una lunga riflessione quando, sul finire del 2011, gli fu chiesto di analizzare il momento politico, in uno spaccato più che mai d’attualità.  Ne emersero tutta una serie di riflessioni che tornano buone anche in questo periodo, a poche settimane dalla doppia tornata elettorale, che lo vedrà in prima fila a curare gli interessi e la tenuta del suo partito: l’UDC.

Ecco quanto ebbe a dire Trivelloni, dapprima dinanzi ad una platea di migliaia di persone, a Capannelle e poi, ampliando il concetto, in una riflessione che trovò spazio sulle colonne di varie testate del territorio: “I recenti accadimenti all’interno della Lega Nord completano un percorso di umanizzazione della sua classe dirigente aprendo inevitabilmente un confronto culturale, politico e, se interessa, anche scientifico tra le forze politiche e sociali del Paese. Non v’è dubbio che con la “lega lombarda”, poi trasformatasi nella “lega nord”, si rafforzò quella protesta verso la politica e verso i partiti che ne dovrebbero rappresentare il veicolo più diretto e necessario. E’ proprio sulla “necessarietà” delle strutture partitiche che emergeranno due personaggi, che, seppur tra loro completamente eterogenei, ebbero nei cromosomi una eguale cultura leaderistica, cioè quella di “capipopolo” e trascinatori di masse. Il terreno era fertile, e in quel 1992, mentre la politica  faceva necessariamente i conti con le proprie debolezze e i partiti con il fallimento delle propria classe dirigente, comparvero sulla scena questi due personaggi: il primo, già forte del suo meritato successo imprenditoriale e della sua innata e professionale capacità comunicativa, andrà ad immortalare il ruolo del manager prestato temporaneamente alla politica, verso la quale anzi prova legittimo fastidio, una sorta di orticaria, sempre ben evidenziata dai riflettori delle televisioni di proprietà (per distingurle da quelle pubbliche la cui disponibilità è essenzialmente pari, solo formalmente difforme, a volte platealmente con i vari “Fede”, altre volte con una più pericolosa latenza). Sono i tempi in cui prevale inarrestabile il mito berlusconiano: camicia azzurro chiaro o celeste scuro, polsini aperti con cronometro in acciaio e una scarpa all’altezza, indipendentemente se proporzionata al ruolo e al portafoglio. Qualsiasi critica a Berlusconi e al suo prototipo serviva inevitabilmente a rafforzarne la mitologia. Mito o vittima? Cadeva e si rialzava politicamente con sovraumana semplicità, tale da far impallidire eroi, miti e statisti consacrati dalla storia. Con Berlusconi si sostituì la ricerca dello statista con quella del populista, e le urne non riuscirono a dargli torto. Umberto Bossi, invece, si costruì una figura completamente diversa fatta di calzature comode e canotta, indossata nei momenti giusti e con i riflettori puntati sul il primo TG di mezza sera; molti di quelli che non riuscì a convincere  completamente Berlusconi optarono per il “senatur”, termine col quale si fece immortalare il prode lombardo, erede diretto dei celti e longobardi. Il suo modo di parlare, le frasi studiate per provocare scalpore ed essere ricordate hanno fatto il resto. La tempra l’aveva e non meno il coraggio; chi lo conosceva già nell’86 ricorderà del suo pellegrinare da una osteria all’altra in cerca di opportunità, tanto da tentare anche un leggero approccio con la DC prandiniana che proprio a Brescia aveva la sua carta di identità ma strutturata in tutto  l’italico stivale, tanto che se non fosse sopraggiunto il Di Pietro – diluvio avrebbe primeggiato e preso il governo del paese con massima soddisfazione anche di Arnaldo Forlani, destinato al colle più alto. Umberto Bossi è comunque un personaggio di primo piano, anch’egli agli opposti da qualsiasi figura di statista. Ed allora, ci si  interroga sui motivi di una ascesa che a molti altri non riuscì in una vita intera di impegno e militanza e a lui, invece, spiantato, senza una storia professionale e culturale, mass-media di proprietà, la sorte ha sorriso e non se la lasciò scappare; neppure per un minuto, per quasi 23 anni consecutivi. In realtà la fortuna anche qui ha distribuito le sue carte migliori, se non altro per avergli affiancato un personaggio che di cultura ne aveva da vendere e che in tanti ritenevano almeno agli inizi come il cervello e l’ideatore, a cui si affiancava come braccio operativo l’Umberto giovane, ambizioso e con il passar del tempo sempre più carismatico. Ma, gli argomenti, le idee e i costumi, così come la regia avevano l’impronta del Prof. Miglio: cattedra universitaria, esperto della scuola “hobbesiana”, politologo di fama internazionale, insomma uno dei cervelli più lucidi e adatti al progetto di conquistare il nord e il potere…e il secondo era inevitabilmente dipendente dal primo. MA COME SI CONQUISTA IL NORD? Idee e slogan furono principalmente del Prof. Miglio, il quale, forte della sua cultura universitaria e degli studi profondi delle scienze politiche, tirò fuori tutto il suo repertorio e capì (e fece capire ai suoi adepti, cosa ancora più difficile) che in prima istanza ed in piena linea con gli umori di quel dato momento storico andava formalizzato un obiettivo comune estraneo ai vecchi schemi della politica che galvanizzasse le masse del nord, cosa che ha rischiato in pochi anni di frantumare una unità nazionale costruita in tanti e con grossi sacrifici del popolo italiano. Del resto, l’idea era sinceramente e pienamente condivisa dall’anziano cattedratico e dal giovane condottiero che, in canotta e armato solo del cavallo dei propri pantaloni, vedeva finalmente una opportunità seria per le proprie smisurate ambizioni. La mitologia di alcune iniziative (vedi l’ampolla con l’acqua del Pò), le croci celtiche, i raduni di Pontida, le vacanze sobrie a Ponte di Legno, non sono semplici o ridicoli (per alcuni) istinti folcloristici, bensì una più attenta, ingegnosa e profiqua applicazione di elementi scientifici, elaborati da fior di scienziati, come il Durkheim, sociologo francese che perfezionò i sui studi, oltre che in prestigiosi atenei, soprattutto in lontane e sconosciute isole del Pacifico, in cui approfondì e perfezionò la sua TEORIA SULL ‘INTENSITA’ RITUALE che, oltre al fenomeno religioso, è utile anche ad una analisi politica: ad una religione totemica fatta di riti totem (piante, animali od oggetti che siano) sostituisce una nomenclatura politica ornata di camicie verdi, fazzoletti, cravatte e souvenir dello stesso colore e all’ambiente primitivo un territorio denominato “PADANIA” che pur non trovando riscontro nella letteratura storico- geografica, se non nella estensione di comodo della terminologia che indica la grande pianura, è comunque utile a delimitare gli iniziali confini del territorio che intende rappresentare e difendere, cosa che, al di là dei meriti sulla primogenitura dell’idea e sulle risorse culturali, gli riesce e bene.

Anche sulle DIVISIONI DEL LAVORO, che Durkheim analizza scientificamente, egli sostituisce ad una piccola comunità tribale una intera area geografica, quella del nord operoso, che produce ricchezza ed è oppresso da un sistema statalista, romano, centrista. Con l’aiuto di slogan, appositamente studiati come termometri elettorali del tipo “ROMA LADRONA” riesce a galvanizzare le masse, soprattutto nei momenti topici, come competizioni elettorali o particolari momenti in cui l’attività parlamentare e di governo affrontava tematiche delicate o impopolari. Questo per costruire l’assetto desiderato. Invece per mantenerlo, cosa notoriamente più difficile, si rifaceva al metodo, sicuramente meno originale ma comunque utile, del PARTITO DI LOTTA E DI GOVERNO. La forma più ‘ semplice e vantaggiosa di un populismo diretto solo ad accrescere e mantenere consensi avvantaggiato da un assetto istituzionale contorto e sbagliato che ha generato un sistema bipolare imperfetto, in cui il premio di maggioranza è diventato la punta di un isberg pericoloso per la democrazia del nostro paese e quindi per l’assetto economico e sociale. Un paese, quello bossiano, in cui i riflettori dovevano essere puntati sulla contrapposizione tra un nord che lavora e il resto d’Italia che ruba e agisce da parassita, con un occhio alla lotta ai clandestini, che ovviamente obbligava a chiudere l’altro ad ogni sentimento umanitario e al riconoscimento alla utilità di una maggiore e migliore flessibilità di ragionamento legislativo in tal senso. Tutto questo avveniva in barba a tutte le normative comunitarie in cui l’Italia si e’sempre riconosciuta per convinzione e Bossi mai per convenienza. Alla politica si sono sostituiti i sondaggi ed ai politici i tecnici. Bossi è stato riconosciuto universalmente un vero e proprio animale politico, lascerà una eredità non facile da gestire e conferma in politica quella evidente differenza che corre tra furbizia ed intelligenza, tra chi è più avvezzo a fare le cose utili rispetto a quelle giuste; questa è una differenza sostanziale quando non si amministrano i propri interessi ma una macro collettività complessa come una nazione. Inoltre il populismo non crea solide basi di consenso, è inutile e pericoloso in termini sociali e democratici, faccio un esempio: promettere l’abbattimento dell’Ici e applicarlo ha donato al nostro paese un sogno momentaneo e una soddisfazione elettorale promiscua…oserei dire che ha violato le regole del gioco, introducendo l’effimero insostenibile; una mossa che poteva essere controbilanciata soltanto con un’alta proposta temeraria, cosa che fortunatamente non e’avvenuta; sta di fatto che l’abbattimento dell ‘ici ha obbligato i comuni ad applicare nuove tasse e ad aumentare quelle esistenti, ed oggi riapplicandola, seppur con un nome diverso, ci troviamo con un sacrificio moltiplicato. Così come negli aiuti internazionali, a volte si è intervenuti nei Paesi del terzo mondo impiantando fabbriche che producevano utensili e oggetti artigianali e questo ha comportato il fallimento di molteplici piccole aziende artigianali; inoltre quando gli aiuti cessarono, le fabbriche chiusero e non c’erano più neppure le piccole aziende. 

La politica è una scienza e i politici sono necessari, hanno una funzione ed una utilità. Per questo non devono essere messi alla gogna e non devono nascondersi: nell’attuale area di centro destra, ve ne sono alcuni che hanno le caratteristiche giuste per assumere responsabilità di leadership e di governo. I TECNICI DEBBONO FARE I DIRIGENTI E I POLITICI I POLITICI, UNA COLLABORAZIONE UTILE QUANTO NECESSARIA, ma le distinzioni sono e resteranno inalienabili anche nel futuro. Bossi e Berlusconi lasciano una difficile eredità da gestire, riconquistare la fiducia della gente senza scorciatoie populiste, in una crisi economica e sociale devastante, in cui si rischia di cancellare una intera generazione, mettendo a rischio anche quella successiva. Noi riteniamo che la classe politica debba assumersi unitamente alle responsabilità di quanto è successo anche l’onere di ricostruire un paese solido economicamente ma anche giusto socialmente, attraverso un dialogo tra le forze sociali economiche e politiche. Ognuno deve fare il suo lavoro, quello che sa fare meglio. Possono esserci politici capaci ed onesti tanto quanto giudici, dirigenti e sindacalisti che lo sono meno e viceversa. Questo concetto universale potrebbe essere rafforzato con quelle riforme ormai inevitabili della giustizia e dello stato, dando seguito a quella volontà popolare più volte espressa dagli elettori anche con competizioni referendarie. Per tornare a dare fiducia alla politica bisogna tornare a dare voce ai cittadini, coinvolgerli nelle scelte, permettergli di scegliersi i propri rappresentanti eleggendoli con il proprio voto, rafforzando quella responsabilità tra eletto ed elettore che oggi trova residenza solo nelle segreterie dei partiti, a loro volta troppo spesso prive di una elettività democraticamente perfetta. Noi non vogliamo essere giudici e censori per forza, però, riteniamo sorpassato e inadeguato il ricorso all’istituto della supplenza e non vediamo di buon occhio l’avvento dei tecnici oggi, quanto quello dell’invasione dei giudici ieri e dei populisti rampanti nel 94, i quali, partendo dall’assunto della inutilita’ dei partiti e l’esigenza di strutture snelle che scavalcavano i congressi sezionali con nomine dall’alto, oggi li  celebrano mentre altri che li difendevano e venivano etichettati dinosauri della prima repubblica oggi si sottraggono al confronto. ECCO LE QUESTIONI CHE ALLONTANANO LA SOCIETA’ REALE DALLA POLITICA E FA ODIARE I PARTITI RAFFORZANDO IL QUALUNQUISMO. La nostra associazione culturale “FARE NAZIONE” che conta oltre 10.000 iscritti ed è ben rappresentata in molteplici realtà istituzionali del territorio regionale chiede, ormai da tempo, quasi inascoltata, la possibilita’ di un pubblico confronto in dibattiti sulle riforme istituzionali in corso e sulle strutture dei partiti esistenti, vuole ascoltare e formulare proposte concrete, ritenendo, quello attuale, un delicato e fondamentale momento storico di transizione, convinti e anche speranzosi che il ridimensionamento di alcuni partiti estremisti come la lega e il fallimento del progetto liber-berlusconiano della unificazione selvaggia e frettolosa dell’area forzista e liberale con la destra moderata, emarginando il centro moderato, porti finalmente a quel popolarismo europeo in cui tutti a Bruxelles si riconoscono e poi a Roma rifuggono. Noi riteniamo maturi i tempi e auspichiamo prima dell’estate l’inizio di questo percorso che conduca i moderati italiani a riconoscersi tutti nel partito popolare europeo in Italia, posando la prima pietra della casa comune dei moderati italiani” (Lamberto Trivelloni – Associazione Fare Nazione).

Questo il Lamberto Trivelloni pensiero, datato fine 2011. Riflessioni pienamente d’attualità anche oggi, a poche settimane dalle elezioni 2013, che dimostrano come il dirigente uddiccino abbia in un certo modo preconizzato sviluppi e scenari con una visione d’insieme che ne confermano la caratura politica e la capacità di saper guardare oltre…

 

 

 

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