POLITICA

Trivelloni esce allo scoperto: “no ai personalismi, si al bene comune”

lamberto trivelloni

Nell’antipolitica che avanza, merito e colpa di una politica fatta senza amore e rispetto per la stessa, capita sovente che i giudizi che si abbattano sui politici siano impietosi e senza appelli. Personalismi, egoismi, individualismi sfrenati, egocentrismi e…chi più ne ha ne metta: il campionario di improperi è talmente vasto che anche il linguaggio trova subito conforto in sempre più nuovi ed originali epiteti. Anche perchè loro, i politici, sembra facciano così per poco per non attirarsi critiche ed invettive da parte di chi distrattamente vota e altrettanto distrattamente si lamenta, gettando tutti nel calderone, nella tanto cara raccolta indifferenziata. I giudizi, allora, sono quelli, insulto più insulto meno, e le considerazioni del popolo elettore raramente condite di parole di stima.

Eppure nella politica dei riflettori protesi sulla scena si finisce per perdersi quanto accade nei meandri, dove le luci non arrivano e i retroscena aiutano a ricostruire storie che difficilmente assurgerebbero mai agli onori delle cronache, se non condite di risvolti scandalistici o ‘gossippari’.

E’ proprio negli anfratti di quello che non appare che si è consumato il piccolo dramma umano di Lamberto Trivelloni, uno che se non ruba la scena per quegli spigoli di un carattere che da fuori lo fanno sembrare poco conciliante, quasi burbero, riesce invece a sciogliersi fuori dai lumi del contesto ufficiale, svelando l’altra facciata di una medaglia ai più nascosta. Ma è nelle doti di uomo prestato alla politica, che della politica si innamora quasi a non poterne fare più a meno, che emerge l’anima di chi da anni lotta per una rappresentanza che faccia da trampolino di lancio al proprio ego (del tutto umano) ma, al contempo, dia soprattutto opportunità e speranze ad un territorio poco, e male, rappresentato.

Non ci vuole uno sforzo di immaginazione per capire cosa possa essere passato nella sua testa nei frenetici minuti che hanno fatto seguito alla clamorosa esclusione dai candidati per il rinnovo del consiglio regionale. Pur se orfano della stampella Ciocchetti – che ha dimostrato di stimare qualcuno solo quando si relega nel ruolo di tira-carretta, salvo abbandonarlo quando è il momento di ridare indietro una piccola parte del tanto che si è ricevuto – per il Lambertone veliterno la tavola sembrava bandita, pronta per una scorpacciata di voti che sarebbero arrivati ben oltre i confini della sua Velletri.

Ma è nell’intransigenza del Codice Etico della Bongiorno che si celavano i titoli di coda di una storia senza lieto fine. Tuttavia in quei frangenti, quando l’amarezza e la costernazione rischiavano di sovrastare ogni altro umano sentimento, lo spessore umano e politico dell’ex segretario uddiccino è emerso in tutta la sua preminenza. Nel mentre alcuni suoi alleati, bramosi di sentirsi considerare importanti da qualche referente romano che non avrà alcuna considerazione di loro, se non l’appetito per la manciata di voti che porteranno in dote in cambio di cenette e l’affissione di manifesti abusivi, lui ha detto ‘no’ alle sirene di chi gli aveva messo su un piatto d’argento una comoda via d’uscita, di quelle che avrebbero allettato i più, perchè blindata da ampie rassicurazioni di incarichi di prestigio, tali da assicurare entrare sicure e poltrone larghe, soffici e comode.

Eppure chi gli è stato vicino in quei frangenti racconta che non c’ha neppure pensato, subito proteso a trovare una soluzione che non disperdesse in un battito di ciglia anni e anni di lavoro spesi per un progetto comune, dove nessuno potesse fermare la ruota se sul carro c’era un progetto comune e non un leader da incoronare. Soluzione che proprio lui, col conforto dei vertici del suo partito, ha estratto dal cilindro, incarnandola nella figura del dottor Natale Di Belardino, emblema della società civile più che soldatino di un partito che si permette di disporre di un vicegovernatore regionale (ancora lui, il Lucianone Ciocchetti) che, senza arrossire, lo si vede girare tra un locale e l’altro gridando un ‘basta’ che stride pesantemente coi suoi numerosi incarichi di governo (campagna di comunicazione davvero poco azzeccata quella del vicegovernatore ed assessore all’urbanistica della Giunta Polverini, che grida allo scandalo degli sperperi e intanto appoggia chi sta tappezzando la provincia con centinaia di migliaia di manifesti). Il tutto per tirare la volata ad un altro candidato, Pietro Sbardella, che non sembra peraltro aver lasciato grandi ricordi dalla precedente esperienza da consigliere regionale…

Trivelloni, a differenza del suo compagno di tante battaglie, ha preferito fare spallucce e non cadere nella tentazione di dire la sua, preferendo sorvolare. E’ però ritornato sulla sua esclusione, “un’esclusione – ha rimarcato – dovuta ad un sistema che non prevedeva distinzioni tra gravità e tempistiche dei vari procedimenti giudiziari. Mi è risultato difficile condividerlo – ha dichiarato – perchè rende troppo giustizialista un percorso garantista che nell’Udc aveva sempre avuto garanzie di efficienza. Ciononostante, anche per la stima e per il rispetto che nutro per lei e per il mio partito, ho preso atto della volontà espressa dalla nostra candidata, e senza colpi di coda e senza rivolgermi ad altri partiti o ad altre liste ho evitato cambiamenti di casacca dell’ultima ora che non mi appartengono, visto che credo fermamente nei principi, nei programmi e negli ideali che il mio partito sta portando avanti con fermezza e passione. Un’altra cosa che non ho fatto, e lo voglio dire a gran voce, andandone orgoglioso, è stata quella di non cedere alle tante sirene che nel frattempo sono risuonate, propiziandomi facili opportunità di riscatto. Non l’ho fatto perchè avrei messo alla gogna tutto il lavoro portato avanti in questi anni nei territori, in cui è cresciuta e maturata una classe dirigente di donne e uomini che, in provincia come a Roma, hanno assunto e assumono ruoli amministrativi importanti e la cui attività politica si rispecchia, puntigliosamente e sentimentalmente, con quella del sottoscritto. Soprattutto, non ho voluto tradire un principio di cui per tanti mesi mi sono riempito la bocca e le orecchie, per il quale un territorio importante, storicamente e geograficamente, culturalmente e demograficamente, non riesca da mezzo secolo ad esprimere un suo candidato che lo tuteli, lo rispetti e si batta per lui. Tutto questo non poteva essere solo uno slogan utile al sottoscritto e non poteva essere disatteso a seconda delle convenienze personali. Il progetto che il sottoscritto e tanti altri avevano in mente vede ora nella figura del dottor Natale Di Belardino tutte le caratteristiche idonee per assumere un ruolo di primo piano e si arricchisce anzi delle competenze e delle capacità di un professionista trasversalmente e unanimemente apprezzato e stimato. Mi quasi commuovo nel dirlo, ma mi batterò ancor di più affinchè questo straordinario figlio della nostra terra vada a ricoprire un ruolo primario all’interno dell’assise regionale. Lui ama la sua città come la amo io e a lui probabilmente sarà possibile quello che a me non è stato consentito di fare…”.

Trivelloni non lo dice, quasi a non voler localizzare troppo la contesa elettorale, ma restringendo il campo alla sua città fa capire che per il ‘Progetto Città di Velletri’, nato proprio per dare risposte concrete ai bisogni e alle aspirazioni della città, sembra arrivata la ghiotta occasione di mettere a segno un grande risultato, incarnato nella figura e nello spessore professionale del dottor Di Belardino, chiamato a dare una rappresentanza regionale ad una città che proprio dalla Regione potrà avere quelle risposte tanto attese.

Ed è nel retroscena di alcune battute, sparse quà e là, che si palesa la voglia di andare avanti di un uomo che conclude così la sua riflessione, non mancando di lasciarsi andare ad una commozione che sa poco di rimpianti e tanto di rinnovate speranze: “stop ai personalismi, si al bene comune, fondato sui valori di un progetto che tuteli la comunità e ne garantisca sviluppo e benessere…”.

Daniel Lestini 

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