Attualità

Genzano – Sulla Villa degli Antonini lezioni di stile da rispedire al mittente…

LETTERA DI DEBORAH CHATR ARYAMONTRI

Della mia pluriennale  esperienza di arbitro di calcio, dipanatasi dai campetti di calcio di periferia e quelli via via più blasonati della regione e dell’intero Stivale, ricordo quanto talvolta accadeva appena dopo aver emesso un fischio, al termine di uno di quegli episodi dove il fallo sembrava palese e si aveva la sensazione di aver davvero preso la decisione più corretta. Nonostante si credesse fermamente di essere nel giusto capitava, non raramente, che tra i calciatori avversari scattava quel senso di implicita e velata solidarietà, che altro non era che un modo per rimarcare, una volta di più, il senso di distacco nei confronti dell’arbitro, solitamente visto, dagli stessi, come qualcosa di tradizionalmente lontano. “Ma dai arbitro, ma se non l’ho toccato…” arrivava a dire un giocatore in riferimento a colui che aveva subito l’infrazione, prima di rivolgersi proprio a quest’ultimo che, per non tradire il copione, finiva per far finta di nulla e neppure troppo tacitamente evitata di dire un qualcosa che potesse rinfrancare il direttore di gara sulla bontà della sua decisione, non tradendo così l’implicito senso di fratellanza tra calciatori, che altro non era che una maniera per creare ulteriore distacco con colui che tradizionalmente viene visto come un soggetto distante, e spesso fastidioso: l’arbitro.

Altri campi, ed altri giocatori quelli che si calcano o si frequentano oggi e che pure, in qualche modo, fanno tornare alla memoria certe sensazioni. Il rettangolo verde dove si è giocata quest’ultima partita non è quello delimitato dalle strisce bianche e contraddistinto dalle due porte, ma quello, parimenti assolato, di via del Lavoro, a Genzano, dove la rete c’è, ma è quella arancione dei cantieri e il campo è contraddistinto dai resti della Villa degli Antonini, dove nacque, tra gli altri, anche l’imperatore Commodo. Qui è in atto, da anni, un tentativo di recupero che sinora ha prodotto risultati piuttosto contrastanti, in cui la buona volontà ha spesso fatto a cazzotti con l’assenza di risorse.

Di quanto avviene in quella zona ci siamo compiutamente occupati nei giorni scorsi, tramite l’interessamento di Federica Tetti, nostra preziosa collaboratrice. La quale, al termine di un lavoro protrattosi per diversi giorni, ha prodotto un interessante spaccato di quanto è avvenuto e avviene in quell’area, ottenuto grazie alle dichiarazioni e alla collaborazione di alcuni personaggi particolarmente attivi nei lavori di recupero. Proprio per non tradire i principi che vogliono si fornisca un’informazione il più possibile dettagliata e veritiera, s’è avvalsa della collaborazione di figure che in quell’area hanno dedicato, attivamente, parte del proprio tempo. Nel farlo ha persino fatto visionare, ed in qualche modo revisionare,  quanto andava scrivendo, proprio per evitare di incorrere in inesattezze. Ritenendo l’argomento piuttosto delicato, ha quindi pensato bene di agire con garbo e prudenza. Nessuno poteva però immaginare quel che sarebbe accaduto da lì a breve, con l’inusitata (per i toni utilizzati) alzata di scudi dei vertici dell’amministrazione comunale, che hanno subito trovato la sponda in alcuni dei soggetti coinvolti nella vicenda, che invece che mettersi dalla parte dei tanto vituperati giornalisti (novelli direttori di gara) hanno proferito strizzare l’occhio ai vertici comunali, che in qualche modo potranno sempre tornare buoni (e viceversa).

Invece di ammettere – com’era giusto che fosse – di aver dichiarato alcune cose e averle anche avvallate (possiamo comprovarlo attraverso precise testimonianze) qualcuno ha preferito fare dietrofront su un paio di passaggi contrastanti, sui quali evidentemente era meglio non creare ulteriori frizioni con l’amministrazione comunale. Passaggi che, nel caso, potevano eventualmente essere chiariti con l’ennesima telefonata, sms od email inviata alla nostra collaboratrice, che avrebbe in quel caso provveduto alla revisione del testo poche ore prima pubblicato. Niente di tutto ciò, visto e considerato quello che è accaduto di lì  a poco, quando con richiesta di rettifiche in fotocopia, prima il Comune, poi la codirettrice degli scavi e, infine, persino colui che aveva chiuso il dettagliato pezzo con una sorta di appendice che delucidasse ancor di più sul tema trattato, hanno preso le distanze da quanto scritto, andando persino ad azzardarsi in lezioni di deontologia e di correttezza professionale che ci sentiamo di rimandare orgogliosamente e piccatamente al mittente, non avendone ravvisato alcuna utilità specifica, visto e considerato che da quanto scritto tutti hanno dimostrato di non aver granchè da insegnare in termini di correttezza giornalistica.

 

DI SEGUITO LE DUE LETTERE (PRATICAMENTE IDENTICHE) IN CUI CI SI APPELLA AD ARTICOLI DI LEGGE

MA SI FINISCE PER FARE PRECISAZIONI SU ASPETTI SUPERFLUI O CHE CI SI ERA PRECEDEMENTE DIMENTICATI

DI DICHIARARE (O SCRIVERE NEL CASO DI MONTEDURO), E CHE ORA SONO EVIDENTEMENTE FUNZIONALI

A RICOMPORRE I COCCI COI VERTICI AMMINISTRATIVI COMUNALI, NEI CONFRONTI DEI QUALI SE PRIMA SI ERA VOLUTO

LANCIARE QUALCHE SEGNALE ORA SI STA PROVANDO A RAFFREDDARE LE TENSIONI, PREFERENDO

SCADERE IN UN  ECCESSIVO ED IMMOTIVATO ESERCIZIO DI PIGNOLERIA CHE SE PORTA A FARE PRECISAZIONI

IN ALCUNI CASI RISIBILI ARRIVA POI A MARCIRE NELLA PRESUNZIONE DI VOLER PERSINO INSEGNARE

A FARE UN TITOLO A CHI CERTE COSE LE FA PER MESTIERE, DA ANNI.

IN OSSEQUIO AI NOSTRI PRINCIPI DEONTOLOGICI PONIAMO IN VISIONE LE DUE LETTERE (PERVENUTECI

PER EMAIL) DI MODO CHE OGNI LETTORE POSSA AVERE UN AMPIO QUADRO DELLA SITUAZIONE E FARSI

UNA PROPRIA IDEA DELL’INTERA VICENDA. APPENA DOPO CONCLUDEREMO QUESTA NOSTRA DISSERTAZIONE

CERTI CHE IL NOSTRO TEMPO (E PROBABILMENTE ANCHE QUELLO DEI LETTORI)

MERITAVA SICURAMENTE DI ESSERE SPESO DIVERSAMENTE…

CLICCARE SU CIASCUNA LETTERA PER INGRANDIRLA

LETTERA DI DEBORAH CHATR ARYAMONTRI…

…E QUELLA IN FOTOCOPIA DI ANTONY MONTEDURO

 

Per concludere: nel punto in cui si evidenzia che l’articolo è stato pubblicato pur senza previa visione degli interessati si ricorda che non c’è alcun obbligo di far visionare e revisionare quanto scritto, ed anzi è sconveniente e persino poco lusinghiero dal punto di vista della dignità e dell’orgoglio professionale. Se tuttavia la nostra collaboratrice lo ha fatto (quanto sarebbe dovuto durare lo scambio epistolare? all’infinito?) è solo perchè ha voluto essere il più corretta e precisa possibile, cosa che andrebbe apprezzata invece che invisa.

Fa sorridere che qualcuno si spinga addirittura a dare lezioni su come si faccia un titolo e su cosa si debba o voglia privilegiare nello stesso. A prescindere che quanto espresso nel titolo è comunque pienamente pertinente con quanto riportato nell’articolo, ogni buon titolo non può cozzare contro i principi della brevità, cercando di cogliere l’interesse del potenziale lettore. Nella fattispecie il titolo è servito a rimarcare quanto avvenuto ogni qualvolta la zona è stata lasciata priva di custodia e altro non è stato che la succinta riproposizione di quanto detto dalla stessa codirettrice, che si è palesemente lamentata dei ripetuti atti vandalici avvenuti nel sito in questione. Un titolo d’impatto, volutamente d’impatto, che è senz’altro servito a garantire all’articolo una visibilità maggiore,  andando nella direzione di non far calare l’attenzione su un’area che merita di non cadere nella coltre dell’oblio che per troppi anni l’ha avvolta, aspetto che, ne siamo certi, sta a cuore a tutti i soggetti interessati.

La filippica, scritta in fotocopia da Antony Monteduro e dalla codirettrice degli scavi (viene da chiedersi chi l’abbia scritta davvero: uno dei due? tutti e due insieme? in questo caso perchè non spedirne una con le due firme in calce?), e pervenutaci in alla casella di posta elettronica della redazione in due distinte email, prosegue poi rimarcando aspetti che non necessariamente andavano riportati in un articolo che per esigenze varie, sinanco di brevità, non ambiva certo ad essere un trattato di archeologia, come neppure una tesi universitaria sul destino della Villa degli Antonini, che pure noi, autonomamente, senza essere imbeccati da alcuno avevamo comunque preso a cuore. Pertanto le lacune evidenziate non sono propriamente omissioni, visto e considerato che nelle dichiarazioni rilasciate dalla Chatr Aryamontri e in quelle scritte da Monteduro gli stessi non avevano trattato gli argomenti di cui ora vogliono sia messa integrazione (proprio in questi giorni il quotidiano nazionale ‘il Messaggero’ è tornato sull’argomento, forse solleticato da questa diatriba, con un articolo che, per forza di cose, non poteva essere più lungo delle battute standard che si assegnano solitamente a certi temi: viene da pensare se anche in questo caso ci si metterà a rimarcare ogni aspetto volutamente non trattato od omesso, facendo la pulce a chi andrebbe invece lodato per aver inteso sensibilizzare la comunità su un’area di alto pregio storico-culturale).

Lo stesso Monteduro è l’autore di quanto riportato a sua firma nell’appendice del pezzo pubblicato il 30 luglio, ed appare francamente grottesco che si chieda una rettifica di quanto si è scritto di proprio pugno, volendo far quindi passare il messaggio che ci sia stata superficialità o negligenza da parte del nostro giornale,  che se una colpa ha avuto, in questa vicenda, è stata quella di eccessiva trasparenza e correttezza da parte della sua collaboratrice, che una volta messo a disposizione il proprio testo, e averne avuta almeno una doppia revisione, non era certo tenuta a continuare in un infinito scambio epistolare. Altri aspetti, in questa situazione, appaiono altrettanto risibili,  a partire dalla puntualizzazione della data di un semplice rinfresco, se non altro perché nel pezzo non era riportata una data sbagliata, ma semplicemente non si è fatto riferimento alla cronologia del rinfresco stesso. Fa quasi ridere, se non si tradisse la serietà dell’argomento, che i due vadano poi a rimarcare che i bolli laterizi siano stati trafugati nel 2010, “sotto la precedente amministrazione comunale”. Una frase non certo casuale, che dimostra, evidentemente, come qualche telefonata sia intercorsa in queste ore coi vertici comunali, e si cerchi in questo modo, in maniera frettolosa e posticcia, di fare precisazioni che nulla aggiungono ad un articolo che altro non voleva essere che un pezzo che facesse conoscere ai lettori lo stato dei lavori del sito archeologico e sensibilizzasse chi di dovere ad una maggiore tutela dello stesso, evitando il riproporsi delle incurie del passato, che seppur non riconosciute da chi governa la città di Genzano sono ben evidenziate da materiale fotografico e da apposite iniziative di bonifica dell’area, portate a termine grazie al volontario interessamento di semplici cittadini o locali movimenti politici. Lungi da noi la volontà di profittare dell’argomento per fare politica spicciola, da qui l’inutilità di rimarcare in maniera maniacale se ogni singolo episodio di vandalismo o incuria fosse avvenuto prima o dopo lo spartiacque delle elezioni comunali 2011.

In ultimo il fatto che nelle due lettere vengano poi citati, nello stesso ordine, gli identici articoli addotti dall’ufficio stampa del Sindaco Gabbarini rende ancor più curioso un quadretto che di certo non farà certamente piacere neppure ai cittadini di Genzano, che tutta questa solerzia e pignolaggine la vorrebbero sicuramente rivolta alla cura di tutti quegli aspetti di governo cittadino che presentano lacune più o meno vistose.Quanto a noi non ci crogioliamo certo nella pretesa di essere infallibili, ma in questa situazione non sentiamo di aver molto di cui crucciarci, se non l’aver tediato i lettori con una lunga e prolissa replica di cui sentivamo però la necessità.

Daniel Lestini

 


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