Attualità

‘Quella fede che fa sradicare una pianta e trapiantarla in mare…’

vangelo

IL VERBO DELLA DOMENICA – Dal VANGELO secondo LUCA (cap. 17,5-10) a cura di Don Gaetano Zaralli

 

 

TESTO

Gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

 

COMMENTO

“Se aveste fede quanto un granellino di senapa…”

Si preferisce spesso spegnere la luce e piangere al buio sulle proprie disgrazie attribuendo la responsabilità delle ambasce alle poche risorse che costituiscono il patrimonio della proprie convinzioni “Ah! Se avessi più fede!… 

Come le briciole di pane che si raccolgono nel pugno dopo aver rovesciato le tasche ormai vuote danno all’affamato la speranza di superare la notte, così il granellino di senapa, che nella sua pochezza è ancora segno di fede, restituisce  fiducia a chi, depresso, voleva lasciarsi morire miseramente. 

 

“Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge…”

Luca questa volta si è distratto, tanto da fare apparire incomprensibili le pretese del datore di lavoro nei confronti del proprio servo. Così facendo, dà di Dio  l’idea di un padrone prepotente, cadendo per giunta in palese contraddizione con quanto altrove afferma: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. (12,37).

Il soggetto dominante nel primo caso è il servitore che nei confronti del padrone (Dio) sceglie un comportamento di totale disponibilità. Nella citazione seguente, invece, il soggetto è Dio che, in un rapporto confidenziale e amoroso con la sua creatura, di questa si fa “servo”. 

In realtà in ogni storia di amore accade, o dovrebbe accadere, che  l’uno è  servo e padrone insieme dell’altro.

 

“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.”

A prima vista dà fastidio il doversi considerare servi di Dio e per giunta inutili. Ma se ciò che opero è frutto di un atto libero ed è conseguenza di una scelta convinta che impegna l’intera mia esistenza, l’essere servo è  anzitutto un atto d’amore che rivolgo a me stesso. Dietro la fatica dell’agire trovo, infatti, la realizzazione di un sogno e, al di là dell’ansia che mi affligge nel perseguire un obiettivo, scopro al contrario la serenità di aver compiuto fino in fondo il mio dovere.

Certo volontariato, di cui talvolta si fregia la stessa Chiesa, non ha senso, se l’atto che in quel contesto si compie porta con sé in modo ipocrita uno scambio subdolo di favori. Forse per questo il solo pensiero di ritenersi necessari, là dove si è appena utili, segna l’apoteosi di uno sfacciato “do ut des”.

Quando certi volontari vestono strane casacche negli ospedali e nelle piazze, nelle sfilate e tra i banchi delle chiese… per distinguersi tra la folla e occupare, in nome del servizio prestato, uno spazio privilegiato, è difficile, guardandoli, riconoscere in loro quei “servi” evangelicamente “inutili”. 

DON GAETANO ZARALLI 

 

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