L’allarme degli psicologi: “un rischio affidarsi agli abusivi”

nociarlatani

Riceviamo e pubblichiamo – Secondo le più recenti ricerche internazionali lo stato di salute delle persone è condizionato per il 50% dai loro comportamenti e dal loro stile di vita. Seguono i fattori ambientali (20%), genetici (20%), e l’assistenza sanitaria (10%).

Per attivare, correttamente, un cambiamento nei processi di salute delle persone ‐ sostiene uno studio del Consiglio nazionale degli Psicologi realizzato da un gruppo di lavoro coordinato da Sandra Vannoni, presidente dell’Ordine della Toscana ‐ serve la professione di psicologo. Con una ricchezza di argomentazioni di carattere scientifico, giuridico e giurisprudenziale che non lasciano dubbi, lo studio evidenzia che una prestazione improvvisata, erogata da soggetti che non abbiano la dovuta preparazione espone il cittadino ad esiti incerti o anche controproducenti e dannosi.

“Varie figure non qualificate – spiega Vannoni ‐ utilizzando la recente legge sulle professioni non regolamentate, cercano di “auto assegnarsi” funzioni riservate per legge alla professione di psicologo”. Nello studio sulle competenze tipiche della professione si sottolinea anche che, in base alla sentenza 11545/2012 della Cassazione, “l’esercizio abusivo di una professione si concreta anche con il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione”.

Quindi rinominare in maniera creativa quello che è di fatto un chiaro intervento professionale tecnico‐psicologico (ovvero che sia basato su modelli teorici di derivazione psicologica, tramite l’uso di strumenti, tecniche o approcci di intervento di derivazione psicologica, e operando su variabili specificatamente psicologiche, quali la consapevolezza di sé; le risorse emotive, relazionali o cognitive; il problem‐solving; lo stress; l’autostima, l’autoefficacia e l’assertività; la crescita emotiva o relazionale personale; la resilienza ecc., ovvero tutti i costrutti di natura scientifica psicologica), non ne cambia la natura di atto professionale sostanzialmente tipico il cui esercizio è di stretta competenza di figure qualificate e abilitate quali lo psicologo”.

“Il fatto che la professione di psicologo sia stata esplicitamente ricompresa tra le professioni sanitarie ‐ ricorda Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio nazionale ‐ rende la sanità italiana al passo con l’evoluzione dei tempi. Ma, proprio come per i medici, la tutela  del cittadino deve avvenire attraverso la garanzia fornita dal valore pubblicistico delle professioni ordinistiche”.

Bisogna diffidare – ricorda ancora il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi – di certe figure non normate (a titolo puramente esemplificativo “counsellors”, “consulenti filosofici”, “pedagogisti clinici”, “reflectors”, “armonizzatori” e altre analoghe figure pseudo‐psicologiche autoaccreditatesi) checercano di esercitare, de facto, anche quelle che sono funzioni professionali tipiche dello psicologo e afferenti ai contenuti e metodidella formazione scientifico‐professionale psicologica.

Questa prassi di “aggiramento nominalistico” dell’evidenza scientifico‐professionale, ricorda infine lo studio del Consiglio nazionale degli psicologi, era già stata espressamente stigmatizzata dalla Corte di Cassazione qualche anno fa (sez. VI, 5 novembre 2008, n. 41183), quando valutando l’esercizio abusivo di professione sanitaria scriveva che “non è il nomen della professione esercitata a designare il tipo di attività come corrispondente a quella esclusiva, ma piuttosto le concrete operazioni eseguite quando la professione è regolamentata dalla legge”.