Attualità

Tragedie stradali: a che servono certi bolidi se i limiti sono di poco superiori ai 100 km orari?

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incdi Gianni Sidoti

Ancora sangue e mestizia nelle cronache dei mezzi di comunicazione, come anche i nostri lettori possono constatare da una lettura quotidiana del nostro giornale on-line. Il pensiero corre veloce, pietosamente partecipe al dramma delle famiglie delle vittime. Esulando dalla fredda cronaca, resta un amaro impegno commentare tragedie che inaspettatamente e impietosamente piombano sui congiunti delle vittime, che non trova esauriente commento; qualche volta per la consapevolezza della propria incapacità, talaltra per non riempire l’amaro calice dei congiunti.

Ma ormai sembra non esserci soluzione di continuità in questa quotidiana tragedia delle morti sull’asfalto, quasi che un tributo di sangue si debba pagare come olocausto alle conquiste del progresso e non solo nel campo auto-motoristico, ma nei tanti settori della esasperata tecnologia

Il cammino del progresso ha il suo prezzo, anche se l’individuo è primariamente responsabile delle proprie scelte. E aprire una trattazione sulla libertà di scelta non è nell’assunto, né questa è la sede, come anche non è la pretesa di chi scrive. Finiremmo nel porre una “summa teologica” sul grande problema del “libero arbitrio”

Si suole dire, con una semplicità accomodante e in certo modo travisante, che è sempre colpa della velocità. Certo, è un assioma, ma gli uomini sono quello che sono e nessuno si sente di processare la natura degli uomini e delle cose e dunque il tema ci porta a riflettere su un paio di altri punti fondamentali.

Qualcuno nelle Istituzioni deve pur farsene carico, con interventi coraggiosi per soluzioni draconiane, fosse anche sfidando l’impopolarità, per porre fine alla mattanza che va funestando la quotidianità, soprattutto nei periodi festivi. Non sappiamo dare suggerimenti, ma deve pur esserci una maniera idonea a ridurre drasticamente il fenomeno, costi quel che costi, dovessimo anche tornare al cavallo. Le esortazioni e la prevenzione hanno dimostrato, ormai per chiarissimi segni, di non giovare a salvare delle vite umane. A mali estremi, dunque, estremi rimedi, come già succede in altri Stati dell’Unione. La prima negligenza passi, la seconda sia l’ultima. In didattica, più che le parole sono gli esempi che contano, in famiglia, a scuola come nella società. Un semplice e popolare ritornello dei tempi andati ammoniva che “La prima si perdona, la seconda si bastona”. Vecchia filosofia oggi aborrita, a beneficio delle cosiddette e travisate libertà individuali.

Esistono in Europa limiti di velocità mediamente intorno ai 140 orari e non si capisce per quale recondita ragione si mettano sul mercato mostri meccanici che sfondano il limite dei 250 all’ora che, quanto meno, dovrebbero avere licenza d’uso solo su piste o circuiti in gare sportive. Consapevoli della durezza dell’asserto, diremo che il suicidio è libero e non è perseguibile, ma della vita degli altri non si deve poter disporre. Sembra di sentire la voce dei congiunti dei morti ammazzati incolpevoli e rispettosi delle norme, coinvolti in paurosi incidenti.

E’ inaudito che, mentre dai pulpiti responsabili si predica la prudenza e la moderazione della velocità, il rispetto delle regole, dalla pubblicità televisiva invece – parta il provocatorio e irresponsabile messaggio esaltante la potenza dei 200 o 300 HP di questa o quella Casa d’auto, magnificandone lo spettacolo attraverso le immagini. Come se l’intera rete stradale nazionale fosse il circuito di Monza.

E allora sorge il sospetto che chi rispetta le regole e i limiti di velocità sia un poveretto o un patetico complessato, oppure i costruttori di auto siano implicitamente responsabili in solido con coloro che del regolamento se ne fregano. E gli organi competenti, anch’essi complici, sono come le stelle di Cronin: “stanno a guardare.”

Se la mia affermazione non offende l’enorme valore e significato della scienza, le tragedie che non di rado la ricerca scientifica ci propone nell’esplorazione dello spazio, ci fanno riflettere sulla follia degli uomini che sembra mettano in pratica certe temerarie imprese solo per il piacere del valicare il limite tra il conoscibile e il grande mistero del soprannaturale.

E, dunqe, ci interroghiamo sui limiti dell’intelligenza umana che sembra voler arrivare prepotentemente a Dio. Il Quale, probabilmente, e se non suona come blasfemo, in un’immaginifica intervista potrebbe anche dirci se sia stanco della vanità e dell’ostentata tracotanza dell’uomo nei confronti delle leggi della natura.