Cultura

Lo splendore delle opere del compianto Sciamè in mostra al Diocesano di Velletri

Mostra Sciamè

 Mostra Sciamè

Il compianto Vincenzo Sciamè

Il compianto Vincenzo Sciamè

di Emanuele Cammaroto 

Il Museo Diocesano ospiterà sino a sabato 30 maggio un’interessante iniziativa promossa dal Rotary Club di Velletri e curata dalla dottoressa Mary Di Trapani, moglie del compianto artista Vincenzo Sciamè. La Sala Angelucci custodirà alcune delle opere del Pittore siciliano, in un viaggio nel tempo tra il 1961 e il 2014, anno della sua prematura scomparsa. L’inaugurazione si è svolta lo scorso 23 maggio, in una sala gremita ben oltre la possibile capienza.

A ricordare il Maestro, in un intervento commosso e pregnante, la moglie Mary, che ne ha ripercorso la via professionale e personale. Dalle prime esperienze nel paese natale di Sambuca di Sicilia, nell’agrigentino, all’insegnamento a Velletri, con la possibilità di esporre in rinomate Gallerie nazionali ed internazionali, ma anche in siti molto suggestivi, come il Complesso del Vittoriano, nel 2009, con una personale dal titolo “Alchimia del Rosso”. Il rosso, che per molti è ormai il “Rosso Sciamè”.

pubblico2 Al toccante intervento è seguito una video-intervista, ripresa durante una personale nel Palazzo Sforza Cesarini di Genzano nel 2010, nella quale Sciamè descriveva personalmente le sue opere e la sua ispirazione. Devo confessare che durante la proiezione il pensiero è volato altrove.

Mi è tornato in mente quando in redazione mi chiesero di intervistare Sciamè. Sostenevano che, da siciliano, avrei potuto carpire qualcosa che era sfuggita ad altri, visto che su di “lui” ormai tutti avevano scritto su ogni aspetto della sua arte. Non sono né un artista, né un critico, cercai perciò informazioni e ne trovai a iosa. Siciliano? Certo! Ma conosciuto ben aldilà dei confini europei, con critiche e recensioni con le quali mai avrei potuto confrontarmi. Immaginavo Sciamè come un uomo possente, dai caratteri somatici normanni, che sicuramente mai mi avrebbe concesso udienza. Uno stupido, presuntuoso pregiudizio il mio, che crollò miseramente la prima volta che incontrai il Maestro.

 Un uomo minuto, sebbene di forte carisma, con uno sguardo aperto e penetrante, capace di metterti in riga eppure, incredibilmente, a tuo agio. Mi raccontò tranquillamente di se, del suo amore per il rosso; di un rosso declinato in tutte le sue sfumature, a simboleggiare il dolore, quanto la passione, la rabbia, quanto l’amore. Simboli, che amava utilizzare nei suoi disegni, nelle sue opere. Mi descrisse con minuzia le tecniche. Quando cercai di manifestargli la mia assoluta mancanza dei “fondamentali” per comprendere tali particolari, bonariamente mi rimbrottò che tutti abbiamo le capacità di “leggere” un’opera d’arte; l’importante, mi disse, è gustarla con tutti i sensi (magari senza assaggiarla, puntualizzò). Provai a mettere in pratica i suoi consigli. “Ha ragione Maestro” gli dissi. “Chiamami Vincenzo” rispose. L’ho sentito subito come uno di famiglia, ma ho sempre avuto “timore” a chiamarlo Vincenzo. Questo è il mio ricordo di Sciamè. Un siciliano che usava la lingua di Dante, quanto quella di Pitrè, che ha scelto il pennello per comunicare con una “lingua” aperta a tutti, in grado di colpire senza mediazione tutti i sensi e ben oltre loro. Questo era Sciamè, un uomo ben lontano dalla descrizione del principe Fabrizio, del Gattopardo. Semplice, minuto, eppure complesso e possente.

 Al termine della video-intervista, tornato alla realtà, ho realizzato di non essere ad una commemorazione, ma ad un raduno familiare; sarà per questo che, salutati la moglie e i figli, mi è venuto spontaneo sussurrare: “Bentrovato Maestro, bentrovato Vincenzo!”.

Più informazioni