Cultura

Albano – ‘Arte e Religione nel Vicino Oriente Antico’ col Museo delle Religioni ‘Pettazzoni’

convegno albano

convegno albano Il convegno organizzato dal Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni”, diretto da Igor Baglioni, sabato 20 febbraio presso la Sala consiliare di Palazzo Savelli  ad  Albano, dal titolo “Arte e Religione nel Vicino Oriente Antico” – Tavola rotonda a margine del libro “Archeologia della Mesopotamia Antica”,  a cura di Davide Nadali e Andrea Polcaro, si inquadra all’interno di quel confronto interdisciplinare tra archeologia e storia delle religioni che il Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” ha sempre promosso fin dall’inizio della sua attività.

L’evento è stato promosso dal Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni” in collaborazione con il Museo Civico di Albano Laziale, l’Archeoclub Aricino-Nemorense, il Centro Studi e Ricerche di Archeologia Storia ed Arte “Oreste Nardini”, il Gruppo Archeologico “Ager Lanuvinus et Nemus Aricinum”, il Gruppo Archeologico Latino – Colli Albani “Bruno Martellotta”, il Gruppo Archeologico Latino – Sezione Albana, il Gruppo Archeologico Veliterno ed ha avuto il patrocinio del comune di Albano e la presenza del Consigliere delegato alla Cultura Anna Di Baldo.

L’inconraffaele pettazzonitro ha offerto l’opportunità di discorrere dei temi connessi al confronto, tra archeologia e storia delle religioni e che si presentano decisamente complessi e a volte anche estremamente spinosi perché queste discipline non si presentano in una forma monolitica ed univoca, ma si articolano al proprio interno in diverse correnti che si caratterizzano per il loro peculiare approccio metodologico e teorico. Ulteriori aspetti problematici possono derivare da alcune caratteristiche delle singole discipline, dai concetti, dai termini e dalle tipologie tecniche e specifiche che ogni disciplina utilizza in fase di analisi, che può portare problemi di incomunicabilità, travisamento di pensiero oppure ad uso improprio di categorie, magari oggi in disuso o non più considerate scientificamente valide. Ciò è conseguenza di un nodo centrale che si deve tener sempre presente ovvero che come la storia delle religioni, proprio per le sue caratteristiche intrinseche, ha continuamente decostruito e ridefinito la proprio metodologia, gli schemi interpretativi e le proprie tipologie, così l’archeologia cambia e si ridefinisce, affinando i metodi di ricerca e il proprio sapere, tramite la pratica e le scoperte che avvengono durante lo scavo.

Insomma, si tratta di un quadro euristico fluido, in continuo mutamento, che, naturalmente, rende difficoltoso il rimanere costantemente aggiornati non solo dei dibattiti e dei progressi dell’altra disciplina, ma spesso anche della propria.

Per questo motivo, negli ultimi anni si sono moltiplicati convegni, seminari o altri tipi di iniziative che potessero essere momento di confronto e di aggiornamento reciproco per indagare l’oggetto di studio da un quadro interdisciplinare cercando di prenderne in considerazione e metterne in risalto i diversi aspetti. In questo senso, cosa spinge all’interrelazione i cultori di queste due specifiche discipline? Semplificando, potremmo dire che tendenzialmente l’archeologo cerca nella storia delle religioni un quadro interpretativo più o meno “pronto” e “definito” con il quale poi leggere, ad esempio, il contesto di scavo, scoprendo poi invece che lo storico delle religioni, almeno quello di orientamento storicistico, offre in realtà più problemi che soluzioni certe, mentre lo storico delle religioni, che studia i meccanismi di costruzione ideologica del reale, ha la necessità di confrontarsi, almeno per quanto riguarda lo studio del mondo antico, con i realia, cioè con i dati più o meno “oggettivi” che si possono inferire dalla documentazione non letteraria, e questo per ricostruire e confrontare nel loro reciproco rapporto di influenza il quadro storico di interesse nella sua globalità con l’ideologia a cui ha dato espressione.

L’attenzione dell’incontro è stata incentrata specificamente su come essi emergano in relazione allo studio di un determinato periodico storico, di una particolare area, quella del Vicino Oriente, in relazione alla sua produzione artistica o meglio di ciò che noi oggi, con i nostri parametri, definiamo “arte” in relazione alla sua cultura materiale  prendendo spunto da quanto contenuto nel libro che è stato presentato: “Archeologia della Mesopotamia Antica”, volume edito da Carocci editore e che presenta il pregio di offrire al lettore un efficace quadro sintetico del tema in oggetto, come ha messo in luce la prof.ssa Frances Pinnock.

La scelta di questa specifica area storico-culturale come luogo di confronto per il dibattito non è stata casuale, ma si lega ai tragici avvenimenti che la riguardano ormai da qualche decennio e che ha visto recentemente la morte orribile di Khaled Al-Asaad al quale gli organizzatori hanno voluto rendere omaggio.

Khaled Al-Asaad, archeologo e scrittore, nel 1963 fu nominato direttore del museo e del sito archeologico della città di Palmira. A metà luglio del 2015 fu rapito dai militanti dello Stato Islamico e ripetutamente torturato. Il quotidiano britannico “The Guardian” riferì che Asaad avrebbe rifiutato di fornire informazioni su dove fossero nascoste antiche opere d’arte. Il 18 agosto 2015 Asaad venne ucciso sulla piazza di fronte al Museo della città nuova di Palmira.

Una singola morte, una morte atroce ed eroica allo stesso tempo, sicuramente per molti aspetti dall’alto valore simbolico ed ideale, come costanza e fortezza di principi “umani” in risposta alla barbarie selvaggia di questo secolo, ma anche una morte che ci rende emotivamente partecipi e consapevoli delle centinaia di morti atroci, che si susseguono purtroppo costantemente, e della distruzione di un patrimonio storico che a volte paradossalmente ci coinvolge e ci colpisce più delle centinaia di vittime umane stesse, un paradosso che Michele Serra nel 2015 sulle pagine delle Corriere della Sera ha efficacemente riassunto con queste parole: “Le statue sono pezzi di pietra, non dovrebbe succedere che la loro distruzione desti uno sgomento perfino superiore a quello dell’assassinio di un essere umano. Eppure succede; e se succede è perché ognuno di quei pezzi di pietra incarna non solamente chi lo ha concepito, ma le decine di generazioni che lo hanno visto e toccato lungo i secoli. Sono, quei pezzi di pietra, stratificazioni di innumerevoli vite umane, e distruggerne uno significa uccidere simbolicamente, con un solo gesto, il figlio, il padre, il padre del padre, e a ritroso fino all’inizio della storia, strappando alle tombe anche chi è già morto per farlo morire di nuovo. Come quando si sradica un albero millenario, a morire, attraverso la morte di quelli che non per caso chiamiamo “monumenti vegetali”, è il tempo. È la storia umana tutta intera …”

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