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‘Riflettiamoci su’ – L’Italia del divano col cervello in pappa

divano

divanodi Maria Lanciotti

Vidi per la prima volta un divano nel 1948, nella sala d’attesa del medico condotto. Prima l’avevo visto solo al cinema. Noi avevamo la sala da pranzo col tavolo e le sedie al centro, e alle pareti due lettini con sovraccoperta di broccato bordò, comodi anche per sedersi. Un lusso, dopo lo scompiglio della guerra, con le bombe che ci avevano distrutto mezza casa appena tirata su e ricostruita pietra su pietra lavorando di notte.

Passarono gli anni e le abitazioni postbelliche, semplici e funzionali, si caricarono di arredi e suppellettili di dubbia utilità, fino a che arrivarono le cineserie a invadere il mercato: i fiori di plastica riempirono case e cimiteri, non si dovevano innaffiare e duravano in eterno. Fu il segnale della fine di un’epoca, ma nessuno si allarmò, era il progresso. Bisognava cambiare passo e accadde velocemente, all’insegna dell’Eternit, della Formica e del Truciolato. E del Pibigas, che mandò a riposo le benedette stufe economiche. E dei materassi sintetici usa e getta che sgominarono quelli di lana di pecora, la cui durata era garantita per cento anni.

A casa mia tutto restava uguale, come nel resto del quartiere in crescita, e le signore si riunivano per il tè del pomeriggio sedendo al tavolo in cucina o attorno alla stufa – che andava a segatura pressata – nella stagione fredda.

Il rito del tè si svolgeva a rotazione nelle case delle signore, e comprendeva biscottini caserecci e nocciole abbrustolite da far sfregolare nella teiera al momento di versare. Il profumo riempiva l’ambiente e usciva da porte e finestre, e più era intenso più era rispettata e riverita la padrona di casa.

Nessuno mai si stancava di stare seduto, conversando e gustando quello che passava la casa.

La modernità arrivò di soppiatto e in un lampo cambiò a tutti la vita.

È la vecchia storia che non si finisce mai di raccontare, anche perché il cambiamento fu così rapido e radicale che sembrò cancellare ogni traccia del precedente modo di vivere.

In breve, fummo catapultati nell’era rivoluzionaria del miracolo non soltanto economico, e ci sentimmo graziati, liberati d’un colpo dalla condanna del quotidiano travaglio. Frigorifero, televisore e lavatrice – in questo preciso ordine – entrarono in tutte le case e ne determinarono altri ritmi.

Subito dopo fu la volta del divano, in prevalenza rosso o azzurro avion, piazzato di fronte alla tv che comunque veniva spostata a piacimento col suo carrellino.

Il divano e la tv andarono a nozze e furono d’allora inseparabili. Mentre all’inizio il divano veniva usato con parsimonia e con tutti i riguardi, protetto dal copridivano e vietato ai bambini e agli animali di casa, in seguito se ne fece un uso smodato che gli rendeva breve la vita, e presto (seguendo il destino dei materassi di lana) finiva in una scarpata rimpiazzato dal divano nuovo di zecca di qualità sempre più scadente.

Poi l’Italia intera precipitò nel divano, fino all’avvento della poltrona relax con massaggio, studiata appositamente per single stressati, dove abbattersi esausti e disfatti dal giornaliero logorìo dell’efficientissima società dei consumi, cullati schiaffeggiati insultati sedotti dalla tivvù sempre accesa a basso volume, per schiacciare un sonnellino dove sogni e incubi si confondono con i messaggi promozionali, e scattare al mattino al suono predefinito della sveglia come una molla rotta, con le ossa cigolanti e il cervello in pappa. E via di corsa, per la propria ignota destinazione, macchina tra le macchine che ancora però conserva il malessere del cuore.