Cultura

Albano – Il dialetto ‘arbanese’ nelle parole di Aldo Onorati e le ricerche statistiche di Giorgio Sirilli

Aldo Onorati
Aldo OnoratiUn incontro divertente e stimolante quello del 26 novembre presso la sede dell’Associazione San Francesco insieme per la pace in Albano Laziale durante il quale una doppia sfaccettatura d’intenti e di vedute hanno tenuto ben saldo l’interesse di una numerosa platea: Giorgio Sirilli e Aldo Onorati hanno piacevolmente disquisito di vernacolo sia dal punto di vista statistico – “Il dialetto come espressione dell’identità culturale” – che quello storico “Lingua e dialetto” .
Come infiltrata forastiera ho avuto modo di ascoltare e riflettere circa l’uso e il graduale abbandono del dialetto nelle nostre cittadine castellane, situazione condivisa da tempo che vede la lingua e la cultura tipica di una comunità, che rischia di scomparire inglobata da una pluralità linguistica e culturale che ha stravolto nel tempo l’identità dei dialetti locali. Non solo l’arbanese, come tengono puntigliosamente a precisare i nostri gentili padroni di casa, ma tutti i dialetti risentono di un impoverimento e di una mescita linguistica che ai giovani precludono la conoscenza della lingua dei nonni e bisnonni.
Giorgio Sirilli con sintetica ed efficace competenza ha presentato l’interessante ricerca statistica effettuata poco tempo fa nelle scuole del territorio, dalla quale si evince che i giovani stanno dimenticando o non conoscono affatto il dialetto, di certo lo usano molto meno dei loro nonni: fa eccezione a questa tendenza la realtà dialettale veliterna, dove il velletrano ancora pare resistere nella familiarità della comunicazione quotidiana. E ci si chiede tutti insieme se anche la scuola può fare qualcosa per preservarlo, conservarlo, farlo conoscere, fermo restando la conoscenza della nostra lingua nazionale insegnata con tutti i crismi. Lingua italiana che, precisa nel successivo intervento Aldo Onorati, dal latino portata in auge dai nostri sommi poeti del ‘300, Dante in prima linea, e sciacquata in Arno dal Manzoni, rischia di scomparire fagocitata dagli anglicismi imperanti nella quotidianità di tutti i giorni.
Divertente l’aneddoto raccontato dal celebre dantista, vittima di una comunicazione espressa nella lingua d’oltremanica, in un contesto nel quale l’uso dell’italiano non dovrebbe conoscere deroghe. E il quadro di un passato neppure troppo lontano legato a mestieri che ormai sono scomparsi, attività legate all’agricoltura, all’artigianato e al commercio, pare sbiadirsi, perdere le tinte acquerellate in un anonimo, moderno contesto dove tutto è generalizzazione e omologazione, uniformità e spersonalizzante livellamento culturale che colpisce ancora una volta il nostro vernacolo. Che fare? Ben vengano queste iniziative che mettono in risalto il problema e ben vengano anche gruppi che ne coltivano la trasmissione, compresi quelli di Facebook dove almeno l’informatica paga debito. Ma soprattutto è nell’incontro, nel dialogo, nel riunirsi che va ricercato il modo di non dimenticare e trasmettere ai giovani il nostro dialetto: e ben ha fatto la simpatica arbanese che al termine dell’incontro ha letto in vernacolo le sue poesie. La poesia salverà il mondo e … speriamo anche il dialetto!
Rita Gatta
 
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