FOCUS

UN RAPIMENTO AVVOLTO NEL MISTERO – DAVIDE CERVIA, 22 ANNI DOPO

Uno.  Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Undici. Dodici. Tredici. Quattordici. Quindici. Sedici. Diciassette. Diciotto. Diciannove. Venti. Ventuno. Ventidue. 

Anni; ventidue lunghissimi anni, fatti di 8030 giorni e 192.720 angosciosissime ore. Una contabilità del dolore che rischierà di protrarsi all’infinito, tanto che la domanda è sempre la stessa: quant’altro ancora bisognerà aspettare, a caccia di una verità che non sia solo quella preconfezionata, prima che i congiunti del povero Davide Cervia avranno una risposta?

Ventidue lunghissimi anni da quel drammatico 12 settembre del 1990, giorno in cui la vita di Davide e quella dei suoi familiari prese una piega del tutto imprevista e dolorosa.  Davide scomparve nel nulla, a due passi dalla sua casa di Colle dei Marmi, nelle colline veliterne, a non molti chilometri da Genzano e a pochi centimetri dal baratro in cui poco è piombato, per sempre. Aveva poco più di 30 anni alle spalle, prima che la sua vita prendesse pieghe a tante fosche che si ritrovano solo nei film di spionaggio. Già, depistaggi, piste tardive, copioni già scritti, hanno fatto da trait d’union ad una storia dai contorni vergognosi, che di certo rappresenta uno dei punti più bassi della vita repubblicana del Paese. Per lo Stato, quello Stato che per molti è stato il suo vero aguzzino, Davide Cervia è morto. Una morte presunta, perché di prove, in una direzione o nell’altra non ve ne sono mai state. Tanti indizi, quelli si, ma tutti verso un’unica direzione: il rapimento. Proprio quel rapimento nei confronti del quale, anche a Velletri, la gente ha faticato a credere. Tanti i mormorii, le voci, i pettegolezzi, tutto col semplice scopo di far apparire il rapimento come un allontanamento volontario, estrapolando fantasiose ricostruzioni tendenti a mostrare presunti ed insanabili dissidi con sua moglie, Marisa Gentile (che invece accanto a suo papà e al compianto Padre Clemente Messore ha sin da subito attuato una battaglia senza confini alla ricerca di una verità mai trovata). 

Tante  le lacune investigative dei primi istanti; tante  le piste che si potevano battere e che pure sono state ignorate; tanti i personaggi oscuri di una vicenda che lascia dietro di se ombre che solo in pochi, lottando contro le istituzioni, hanno avuto la determinazione e il coraggio di sfidare. Una pagina nera, nerissima, nella storia italiana; una pagina che in molti hanno voluto vigliaccamente dimenticare, ma che noi, a 22 anni da quel triste 12 settembre del 1990, intendiamo ricordare, perché su quel giorno non cada mai il velo dell’oblio. E il nostro appello lo lanciamo anche alle istituzioni, comprese quelle locali, che in tempi non sospetti si impegnarono a garantire un lavoro dignitoso ai figli del povero Davide, assicurando loro un piccolo e misero risarcimento del male perpetratogli: nell’Italia delle facili raccomandazioni nessuno si è più ricordato di loro; ennesima beffa per due ragazzi privati della guida più importante, strappata via per la salvaguardia di equilibri internazionali oscuri e miserevoli. 

Daniel Lestini

 

 

LA CRONISTORIA DEL RAPIMENTO, I DEPISTAGGI E LE MINACCE!

 

Davide Cervia nasce a Sanremo nel ’59, dove risiede con la famiglia fino al ’78, quando si arruola come volontario in Marina. Nel 1982 conosce Marisa Gentile, che sposa poco dopo. Dopo il matrimonio decide di congedarsi e nel 1988 si trasferisce a Velletri, dove lavora nella società Enertecnel Sud, che ha sede ad Ariccia. Davide viene visto l’ultima volta alle 17 del 12 settembre 1990. “Ho visto un gruppo di persone che lo spingevano con forza dentro una macchina color verde. Urlava tanto, faceva resistenza, tentava di difendesi. Poi, forse perchè mi aveva visto o forse perche sperava che fossi nel giardino,mi ha chiamato urlando tre volte il mio nome”. Così Mario, un vicino di casa dei Cervia. Le indagini sono lente, frammentarie, senza un filone preciso, se non quello di voler circoscrivere la scomparsa ad un allontanamento volontario. Eppure tutti gli indizi fanno propendere per il contrario, con Davide che proprio in quei giorni era tutto intento a procedere con  dei lavori nella propria abitazione. La sera prima si era addirittura ritrovato a parlare con Marisa di come avrebbero festeggiato l’anniversario di nozze. Nulla  che facesse presagire un allontanamento volontario. Eppure gli inquirenti sembrano sottovalutare tutte le piste che portano al rapimento, con indagini lacunose e tutte incentrate ad una parziale versione dei fatti. Marisa non ci sta e solo casualmente viene messa sulla pista giusta da un ex collega di Davide ancora in servizio, che non ha dubbi nel mettere in relazione la specializzazione conseguita da Davide con la sua sparizione. Da lì accadono cose strane. Qualche tempo dopo un ispettore della Digos incontra Marisa. E’ insistente: vuole sapere il nome di un ex collega di Davide che prestava servizio a la Spezia ma che e’ di Napoli. Una descrizione precisa che permette a Marisa di capire subito a chi si riferisce l’ispettore. Si tratta di una persona che ha fornito alla famiglia indicazioni sul passato in Marina di Davide, rivelatesi di estrema utilità. “In quel momento – ricorda Marisa – ebbi la certezza che le mie conversazioni fossero ascoltate”. In seguito si presenterà a casa di questo ex collega di Davide un uomo, con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno: in realtà e’ un uomo con incarichi non precisati in Polizia. Se il suo scopo e’ di intimorire il marinaio, la missione può considerarsi un successo. Da quel momento chiederà a Marisa di non contare più su di lui. 

Il magistrato che conduce le indagini convoca per la prima volta Marisa solo dopo sei mesi dalla scomparsa del tecnico. Il sostituto procuratore Romano Miola, che segue il caso, l’attende nella sua stanza ma non e’ solo. Con lui e’ il procuratore capo, Vito Giampietro. Fin da subito il contatto con la procura non e’ sereno. Il procuratore chiede a Marisa Gentile di rispondere alle domande con un “si'” o con un “no” e ad ogni tentativo della donna di spiegare meglio varie circostanze, viene bruscamente invitata ad attenersi alle richieste. Al convento dei Cappuccini, con destinatario Padre Clemente, arriva intanto una lettera anonima da Grottaglie, provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, “agganciato” da strani e misteriosi individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il fatto che non sia firmata e’ giustificato dalla paura di essere individuati e di esporsi a rischi elevati. La speranza dell’anonima scrivente e’ che l’inchiesta vada avanti e che “i magistrati indaghino meglio nei servizi segreti”. 

Lo Stato Maggiore della Marina fornirà’ ai familiari di Davide ben 4 fogli matricolari diversi, prima di arrivare a quello reale, in cui viene  ammessa la qualifica di “specialista Ete/GE” (tecnico elettronico/guerra elettronica)”. L., un altro collega di Davide Cervia, riferisce: “Il nostro corso in Marina militare era inizialmente di 900 persone. Gli Elt, i tecnici elettronici, erano 120. Dopo i primi tre mesi di corso siamo diventati 90. Dopo un anno 50. Alla fine abbiamo portato a termine il corso in 22, di cui solo 6 sistemisti. Noi eravamo fieri di un radar ideato dalle industrie belliche italiane, un radar tridimensionale. Quello che non capivamo era averlo venduto a 109 paesi. Noi sistemisti siamo stati invitati a compiere “gite turistiche” con le navi, che avevano lo scopo di magnificare e vendere i nostri armamenti ai paesi stranieri. Non immaginavamo per niente il giro di soldi che c’era dietro al traffico d’armi. Per un paese straniero e’ quasi impossibile formare dei tecnici, perche’ ci sono delle nozioni-chiave di base per cui neanche un ingegnere elettronico riesce a leggere i manuali delle apparecchiature. Ci sono delle chiavi precise. Davide era capo-corso, il primo degli allievi”. Nonostante l’importanza delle sue affermazioni gli inquirenti non danno grande peso alle sue rivelazioni ed anche L. verrà minacciato tanto da essere costretto a vivere nascosto. Gli inquirenti prestano invece ascolto ad un certo Giuseppe Carbone, di Taranto. Spunta fuori il 22 gennaio 1991: per chi propende per l’allontanamento volontario (ed anche a Velletri, sulle prime, sono in tanti) sembra essere la persona giusta al momento giusto. Con la sua versione tutto torna per chi tende alla tesi dell’allontanamento volontario: nessun intrigo internazionale, nessun rapimento. Ci sono pero’ molti dati di fatto che hanno permesso di appurare come Carbone non abbia mai conosciuto Cervia. 

 Quando alla moglie di Cervia arrivano le minacce di morte che investono tutta la sua famiglia, decide, per alcuni giorni, di non mandare i figli a scuola. Alla trasmissione televisiva “I fatti vostri” Marisa Cervia racconterà poi di aver ricevuto l’offerta di un miliardo per non cercare Davide”. Nonostante due appelli di Papa Giovanni Paolo II e le promesse di tanti governi (un sottosegretario chiese addirittura il silenzio alla moglie di Cervia, in cambio dell’impegno a trattare con la Libia per la liberazione dell’uomo), l’unica certezza giudiziaria è quella con cui il Gip di Velletri dispose l’archiviazione del caso: Cervia fu rapito da ignoti. Per essere venduto a un Paese straniero a corredo di armamenti che conosceva soltanto lui. 

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