TEMPO LIBERO

Ancora morti per la Caccia: continua la mattanza di uomini e animali

caccia

I NOSTRI AMICI A 4 ZAMPE

di Gianni Sidoti

Egregio direttore, conoscendo l’obiettiva disponibilità del suo sito verso opinioni e commenti (quali che siano, ma sempre nella correttezza dialettica) del lettore che segue la sua stimata testata, ho motivo di credere che nulla osti alla divulgazione delle molteplici tristi vicende legate alla morte accidentale di numerosissime persone a seguito di incidenti per il pessimo uso delle armi da caccia.

Sarebbe una viltà tacere, quasi un omertoso silenzio, su una realtà che sta creando un’indignazione generale per questa sorta di paradossale carneficina verso la quale, la corrente realtà giudiziaria procede con una levità temporale e sanzionatoria che spesso si perde nella notte dei tempi. L’ultima della serie è della scorsa domenica allorché un giovane di 18 anni, proprio nel giorno del suo compleanno, è stato vittima di un errore fatale di un suo compagno di battuta al cinghiale in quel di Nuoro colpito al petto e tuttora in pericolo di vita. Un evento che segue a breve distanza di giorni quello di un bambino della tenera età di cinque anni rimasto vittima in provincia di Nuoro di un colpo partito per sbaglio dal fucile del padre. Lascio al giudizio comune, tragedia a parte, se sia nella norma condurre un bambino di cinque anni ad una battuta di caccia al cinghiale, sulla qual cosa sta inquisendo la locale magistratura.

Scrivo in uno stato d’angoscia per quest’ultima scioccante vicenda che ha portato alla spaventosa cifra di trentadue, tra morti e feriti gravi, l’elenco delle innocenti vittime di questa barbara istituzione; e le premesse lasciano presagire quale sarà la tragica situazione della mattanza animale e umana a chiusura della caccia di questa stagione. E non è da meno la mia deplorazione per l’impietosa strage di animali sacrificati al dio piacere nel premere il grilletto contro un nemico che chiede solo il diritto naturale di vivere. Credo di poter affermare – nella certezza di una corale condivisione di tutti coloro che ancora nutrono sentimenti di sensibilità e del bene prezioso della vita – che l’ancestrale pratica possa trovare la sua ragion d’essere solo nei luoghi tribali della foresta amazzonica o della Papuasia per fini di sopravvivenza, dove peraltro, le armi da fuoco non trovano uso da parte degli aborigeni, mentre nel contesto cosiddetto civile è la nefasta e ludica pratica di uomini dediti al piacere dell’uso di quelle armi.

Non nascondo, altresì, la mia deplorazione verso taluni fucilieri pantofolai della domenica di mia conoscenza che alle dieci del mattino sparano dalla finestra ai passeri sugli alberi circostanti della locale campagna. E tutto ciò, nel silenzio assordante e colpevole delle Istituzioni senza che si provveda ad una severissima disciplina sull’uso delle armi o, volesse il cielo, all’abolizione totale di un così barbaro rigurgito di primordialità sociale, in un momento culturale e politico in cui la dea libertà è alla base del consorzio civile. È tempo che si inculchi già dai banchi di scuola elementare l’idea per cui la libertà e la vita sono diritto di ogni specie animale, distinguendo l’esigenza alimentare secondo natura, dall’ipocrita motivazione che si vorrebbe attribuire alla caccia per mera ricreazione Consta che buona parte dell’avifauna abbattuta non viene nemmeno trovata sul campo di tiro all’inerme bersaglio.   

Soprassiedo, direttore, ad altri commenti nel rispetto dell’altrui opinione e nella speranza che ogni eventuale dissenso resti nell’ambito della reciproca temperanza, ma mi consenta almeno riportare l’austera, ma amarissima sentenza dell’emerita “Associazione vittime della caccia” secondo cui: “Non c’è nient’altro da aggiungere ai fatti di sangue che ormai si succedono sistematicamente dall’inizio della stagione venatoria. Oltre ai crudi numeri, ogni altro commento è superfluo”.  Ed è così che passa tristemente la gloria del mondo venatorio.

 

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