CRONACA

Stupratore – Il terribile segreto dell’insospettabile immigrato, ormai italianizzato

stupro

E’ stato tacciato degli orrori più grandi. C’è chi lo ha avvistato in pieno centro, chi in campagna, chi nella prima periferia, chi a Pavona e chi a Cisterna, chi a Genzano, chi a Lariano, talvolta pure contemporaneamente, quasi avesse il dono dell’ubiquità. Lo hanno chiamato ‘Mostro’, noi persino ‘Bestia’ od ‘energumeno’; gli epiteti si sono sprecati quando si è trattato di dargli un nome che si confacesse maggiormente alle sue orripilanti imprese. Il corollario si è poi arricchito di ulteriori particolari quando si è trattato di rimarcare cosa avrebbe meritato una volta catturato; e lì le descrizioni si sono sprecate, tra evirazioni di piazza ed altre esemplari condanne corporali. D’altronde la paura è stata tanta e per oltre un mese e mezzo Velletri e i paesi limitrofi hanno vissuto nel terrore. Un terrore che ha spinto a cambiare i propri ritmi, ha condizionato persino le armoniche abitudini familiari, sconvolgendole sull’altare di una maggiore precauzione.

C’è chi lo ha pensato dell’est, chi africano dalla capigliatura bionda; ogni volta che una testimonianza finiva in pasto alla folla ne usciva arricchita di particolari nuovi, e persino di identikit fantasiosi. Dopo tante settimane di anonimato l’idea che fosse ormai fuggito stava prendendo piede; e invece no, lui era ancora lì, in mezzo a noi, col suo terribile segreto. Nel frattempo le forze dell’ordine hanno lavorato instancabilmente, incastrando tassello dopo tassello, andando oltre ogni sterile critica e banale polemica. Le vittime delle violente di un uomo che ha messo da parte la ragione hanno provato ad andare avanti, segnate nell’animo e marcate nel fisico. 

E intanto lui era lì, in mezzo a tutti, senza modificare granché la sua routine quotidiana. Un giovane di 26 anni; un tunisino che ha trovato la fortuna di sposare un’italiana, più grande di lui di una decina d’anni. Un colpo di fortuna, a detta di tanti immigrati, un colpo d’ala che a tanti schiude le porte all’integrazione accelerata. E invece no, probabilmente tutto è rimasto confinato nella parvenza di una vita in cui si covavano istinti repressi, che sono poi esplosi nella maniera peggiore. Sposato da un paio d’anni, aveva accettato anche il rito della benedizione cristiana, in una funzione andata in scena nella chiesa di San Michele Arcangelo, dove lui, musulmano, decise di dire ‘si’ alla sua amata.

Nessuno, tra i loro conoscenti, avrebbe mai immaginato che l’uomo delle violenze potesse essere lui; non i loro amici, non certo la sua sposa, esterrefatta quando gli agenti hanno bussato alla loro porta e con fare inquisitorio l’hanno portato via, con un’accusa atroce, troppo più grande di lei.

Frequentava i bar della città, il giovane tunisino, e lo faceva insieme a molti dei suoi amici nordafricani, stazionando spesso nella zona di piazza Garibaldi. Molte chiacchiere e diverse serate finite intorno ad un bancone. Eppure, a detta di molti, sembra che non beveva molto, quantomeno non era una costante quella di affogare le proprie uscite nell’alcool. Non un emarginato, quindi, tanto da partecipare anche a tornei di calcetto, dov’era parte integrante di squadre composte da ragazzi italiani coi quali ridere e scherzare. Tuttavia un ragazzo schivo, capace di passare ore in silenzio, perso nei suoi pensieri od incollato a una tv. Chi lo ha conosciuto fatica a credere che sia lui l’autore delle violenze, tanto era stato bravo a darsi una parvenza da giovane per bene. E in fondo lo è stato, fino a che qualche ingranaggio ha fatto tilt, e il copione di una storia tra tante ha lasciato spazio alla cupa svolta di una trama ‘noir’, a tinte sanguinose.

Ad incastrarlo un telefonino, rubato ad una delle sue due vittime e rivenduto, settimane dopo, ad un marocchino. Ora dovrà rispondere di accuse pesantissime,  e in una storia ricca di sorprese e colpi di scene, di particolari a lungo riportati e poi seccamente smentiti, ci sta di lasciarsi il beneficio del dubbio, quello che gli consentirà, ora che è rinchiuso in un carcere, di poter avere la garanzia di un processo, al termine del quale certificare che il ‘mostro’ che ha seminato terrore e violato l’intimità di donne e ragazze è veramente lui. I dubbi sono pochi, gocce d’acqua in un oceano di certezze, pronte ad evaporare presto non appena la ragione si sarà rimpossessata di lui, per una confessione che non mitigherebbe il male che si è lasciato alle spalle, ma lo libererebbe di un fardello troppo grande per poterci convivere una vita. Intanto, sempre che le accuse siano provate, si amplia il fronte di chiede una condanna esemplare; troppo grande il crimine commesso e la paura provata perché Velletri possa accettare una di quelle pene ammorbidite che caratterizzano le colonne dei giornali, creando sdegno per la loro eccessiva mitezza.  

 

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