Cultura

Bufera a Velletri: ‘privatizzata e svenduta la cultura’. Rabbia trasversale, dai 5 Stelle a ‘Sinistra per Velletri’

Uan vera e propria bufera quella sprigionatasi in queste ultime ore a Velletri, dove la Giunta comunale, con delibera 20 del 29/01/2016, ha preso atto ed ha approvato una “proposta di deliberazione del Consiglio Comunale” per la costituzione di una “Fondazione ONLUS Arte e Cultura Città di Velletri”. Un atto col quale, come sentenziato da Gianluca Marinelli, il portavoce di ‘Sinistra per Velletri’, “si privatizza, di fatto, la cultura cittadina”. Veemente la reazione di tanti cittadini che per anni si sono battuti, anche a fronte di sacrifici immani, per la crescita culturale della città e che in questa sorprendente mossa hanno visto un tentativo dell’Amministrazione comunale, neppure troppo velato, di ‘mercificare’ la cultura, a vantaggio di pochi noti.

Una decisione invisa a tanti, compresi alcuni esponenti illustri di quel Partito democratico che ha partorito il progetto, tanto da indurre alcuni a prendere le distanze da quanto partorito dalla Giunta (in primis Maria Paola De Marchis, le cui parole, che vi riferiremo a parte, sono state durissime). Alla riunione decisiva (sarà un caso?) mancava l’assessore alla cultura, la giovane Ilaria Usai (assente, per la cronaca, anche Marilena Ciarcia), che da voci di corridoio non l’avrebbe presa affatto bene… 

Oltre a ‘Sinistra per Velletri’ anche il locale Movimento Cinque Stelle, che ha per primo scoperchiato la pentola, ci è andato giù durissimo, con una lunga nota di Paolo Trenta: ” Già la partenza sembra anomala – premette Trenta -. Se la Giunta prende atto, di chi è la paternità del documento? E cosa approva se gli statuti e le convenzioni sono prerogativa del Consiglio Comunale? E soprattutto come mai una delibera di Giunta riguardante la cultura viene approvata proprio in assenza dell’assessore alla cultura? L’amministrazione comunale ha intenzione di affidare completamente i servizi culturali ad una fondazione pubblico-privata e lo fa in un modo che sembra un golpe! Tra i servizi che intende esternalizzare figurano la gestione del Teatro Artemisio, di Villa Bernabei, del Polo Culturale dell’ex convento del Carmine, ma anche la realizzazione di iniziative artistico musicali in Italia ed all’estero, mostre manifestazioni artistiche, formazione teatrale, corsi, formazione nell’artigianato locale, valorizzazione dei prodotti locali”.

“Molto interessante il fatto che la “fondazione” possa concedere a pagamento l’utilizzo dei locali dati in gestione , ma che possa gestire anche immobili comunali diversi da quelli definiti nello statuto, che possa svolgere qualsivoglia attività accessoria anche di natura commerciale, che possa gestire ed organizzare mostre e fiere, interagire con la scuola e con le associazioni culturali, ma soprattutto che svolga la funzione di attività di coordinamento e supervisione con le attività culturali del territorio. In poche parole – sentenzia Paolo Trenta – la fondazione si sostituisce appieno all’assessorato alla cultura del Comune di Velletri”. 

Paolo Trenta

“La cosa interessante – continua il capogruppo dei 5 Stelle – è che lo può fare, secondo lo statuto “approvato” dalla Giunta Comunale, mettendo in minoranza l’Ente.  Già perché in maniera davvero poco furba l’ente configura la fondazione con un fondo iniziale costituito da 40.000€ del Comune, 30.000€ della Banca Popolare del Lazio e 30.000€ della Clinica Madonna delle Grazie, e vuole controllare la fondazione che gestisce tutta la cultura della città (che è un bene di proprietà di tutti) con un Consiglio Direttivo, costituito da 2 membri + il Sindaco appartenenti all’Ente, 2 alla banca, 2 alla clinica. Se la matematica non è un’opinione il 60% della gestione, e così la maggioranza decisionale, sono privati, e davvero sembra inopportuno dare in mano tutta la gestione di un bene comune ad una figura privata, che supponiamo facilmente possa sfuggire dagli obblighi pubblici, e sulla quale si perde il controllo analogo che invece potremmo avere se l’Ente avesse il 51%. A dimostrazione della poca fantasia di chi ha stilato lo statuto, una ricerca su internet individua nello statuto della fondazione del teatro comunale di Modena una paternità sovrapponibile quasi parola per parola, peccato che in quello di Modena il Comune sia sempre in maggioranza!”.

Viene spontaneo da chiedersi in tutto ciò, come mai il museo, che è sempre un patrimonio culturale, rimanga fuori da questa magica fondazione. E’ simpatico inoltre, verificare che fino ad oggi all’assessorato alla cultura siano stati riservati solo gli “spiccioli”, mentre facilmente mettiamo a bilancio preventivo 40.000 euro per la fondazione.  Facciamoci due conti:

– partiamo da una base di 100.000€ per gestire tutto il patrimonio ed i servizi culturali della città.

– spendiamo 10.000€/anno per il direttore amministrativo e circa 30.000€/anno per il direttore artistico

– dobbiamo includere le spese di gestione(amministrazione, pulizie, manutenzione ordinaria…), i revisori dei conti, le utenze, le tasse (TARI/TASI gli edifici sono molto grandi)

– le spese di attività, promozione, personale

Non è esagerazione se si afferma che questo giochino costi almeno 100.000€ l’anno, quindi il primo anno il fondo di costituzione è interamente consumato. Negli anni successivi, i soci finanziano per 30.000 euro e la fondazione deve autosostenersi per almeno 70.000.

In una così ampia vastità di attività forse potrebbe essere possibile ma per coprire tutte le attività previste non sono certo quelli i costi considerabili. Proprio qui è il punto, come si è arrivati a questa configurazione per risolvere i problemi della cultura veliterna?  Nella premessa della proposta di delibera c’è una frase interessante: “Considerato che questa Amministrazione ha individuato per l’esercizio e la gestione ottimale dei servizi culturali ed artistici, diretti al miglioramento della qualità della vita sul territorio comunale… la costituzione di una Fondazione…che consentirebbe di perseguire un modello organizzativo idoneo al raggiungimento di un migliore servizio qualitativo e quantitativo, nonché una migliore flessibilità funzionale più congrua alla natura dei servizi pubblici locali ad essa connessi”.  In quale modo l’ha individuato? Quali alternative ha valutato? Quali progetti e studi sono stati eseguiti? Dato che questa valutazione spetta al consiglio comunale, espressione dei cittadini, sarebbe interessante conoscerlo. Ogni provvedimento delle pubbliche amministrazioni deve essere motivato, con espressa indicazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno portato alla decisione (art. 3 legge n. 241/1990). Nel caso invece di scelta autonoma dell’ente, occorre dar conto, da un lato, delle specifiche ragioni di pubblico interesse che consigliano la costituzione del nuovo soggetto, nella prospettiva degli obbiettivi di economicità efficacia ed efficienza (tutte articolazioni del citato principio di “buon andamento” già previsto con lungimiranza dalla Costituzione). Dall’altro, del perché è preferita la “forma fondazione”, anziché la forma societaria od altre forme previste dall’ordinamento (ad esempio “l’azienda speciale” di cui all’art. 113-bis del D.lgs. n. 267/2000, prevista per i casi della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, ma di utilizzazione anche per casi di attività di utilità sociale). Nella stragrande maggioranza delle fondazioni che gestiscono beni culturali dei Comuni, non siamo riusciti a trovarne una con una vastità così ampia di applicazione, normalmente esse gestiscono uno ed un solo bene.  In tale vastità, i servizi sono difficili da categorizzare come privi di rilevanza economica, la formazione, l’organizzazione di fiere, la gestione di immobili comunali non compresi nello statuto, le iniziative artistiche e musicali al di fuori del territorio, e la stessa stipula di convenzioni con enti e soggetti privati. La stessa natura dei costi solo coperti minimamente dal fondo fa comprendere che la principale attività della fondazione, che ha una partecipazione minoritaria dell’Ente, è di natura economica. Questa valutazione impedirebbe alla Fondazione l’affidamento in house dei servizi non essendo a capitale interamente pubblico e non avendo l’Ente il controllo”.

“Resta ancora un nodo da sciogliere – aggiunge ancora Trenta nella sua lunga e circostanziata nota -: ma i soci fondatori chi li ha scelti?  Perché leggiamo da un testo del dott. Valerio Sarcone sulle fondazioni pubbliche che: “Dopo un lungo contrasto giurisprudenziale, l’attuale disciplina (art. 113 del D.lgs. n. 267/2000 ed altre norme similari) prevede che l’“accompagnarsi” delle pubbliche amministrazioni con soggetti privati sia necessariamente il frutto di una procedura ad evidenza pubblica. In particolare, nelle società miste il socio privato – indifferentemente se in posizione minoritaria o maggioritaria – deve sempre essere scelto con tale tipo di procedura…“. E’ evidente che di evidenza pubblica qui non ve ne sia stata, anzi è più che evidente che di pubblico si vuole il meno possibile per costituire una fondazione privata a partecipazione pubblica, che ha già individuato le figure da porre come direttore artistico e amministrativo, e che sfrutti i beni pubblici per favorire i soliti amici degli amici e costituire equilibri politici trasversali in vista delle non lontane elezioni. E’ palese il nemmeno tanto goffo tentativo di bypassare le discussioni portando una delibera preconfezionata al consiglio comunale, sperando magari che non ci si facesse caso. Impediremo in tutti i modi possibili che la cultura della nostra città venga mercificata”.

Più informazioni