CRONACA

Velletri – ‘Giuseppe non può essersi ammazzato!’: mamma Lorenza lotta ancora contro la nuova archiviazione del ‘caso Cipolla’, il giovane morto nel 2013

Giuseppe Cipolla

L’ultima foto di Giuseppe Cipolla, scattata proprio il giorno prima della tragedia

Poco più di una settimana. Questo il lasso di tempo che resta a Lorenza, la mamma di Giuseppe Cipolla (il 28enne morto nel novembre del 2013 a seguito di un colpo di pistola), per opporsi alla nuova archiviazione del caso della morte di suo figlio, avvenuta dopo 3 mesi di agonia. “Ci hanno dato 20 giorni per fare l’opposizione all’archiviazione come suicidio” ha dichiarato Lorenza al nostro giornale. Lei all’ipotesi del suicidio non ha mai creduto, e sin dai primi giorni si è battuta contro un finale che le è apparso già scritto, condito di tante, troppe domande, molte delle quali rimaste senza risposta, pur se inquietanti nella loro indeterminatezza ed assenza di chiarezza. 

Dopo essersi diretto nel luogo dove lavorava la sua ragazza, poco dopo le 21 del 23 agosto Giuseppe tornò nella sua abitazione in via Valle Bata, in sella alla sua motocicletta. Una volta entrato, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, si sarebbe sparato un colpo di pistola, proprio mentre la fidanzata, che lo aveva seguito a bordo della propria autovettura, si apprestava ad aprire il cancello. Il decesso è poi arrivato a 3 mesi di distanza, dopo una lunga e straziante agonia, nella giornata del 27 novembre. 

“Giuseppe aveva tanti progetti, anche nell’immediato, e tanta voglia di vivere” è stato il ritornello ripetuto dalla mamma, che non ha mai creduto alla pista del gesto autolesionistico, ritenendo numerosi gli elementi che facessero propendere per un’altra pista e che non ha mancato di rivolgersi neppure alla redazione di “Chi l’ha Visto?” per appellarsi a chi avrebbe potuto fornire elementi utili all’indagine.

“Sulla pistola non sono state trovate impronte, ne sue né di altri” ripete ancora oggi mamma Lorenza, il cui dolore per quella tragedia non è certo scemato col passare del tempo, nonostante sia stata praticamente lasciata da sola, a combattere una battaglia che, a suo dire, è protesa a far giustizia verso quel destino barbaro, che l’ha privata di suo figlio Giuseppe. Quel suo unico figlio, era e resta il suo pensiero quotidiano, nella speranza che prima o poi venga venga a galla quanto realmente accaduto, sebbene le speranze siano ormai ridotte al lumicino, e si assottiglino col passare del tempo.

“Io non mi rassegnerò mai a questa verità e so per certo che qualcuno non ha raccontato tutto quel che sa. Io spero tanto che quel che è realmente avvenuto in quella casa possa essere prima o poi scoperto, ma per riuscirci – ha aggiunto Lorenza a “Castelli Notizie” – bisognerebbe rivolgersi in alto, toccando le corde di chi avrebbe un reale interesse a sapere quanto successo”.

L’unico appiglio, per Lorenza, resta la speranza, e la fiducia nel lavoro del suo legale, l’avvocato Luca Becucci, che non si è mai arreso, evidenziando, con lei, le tante stranezze di un’indagine che ha presentato diverse lacune, quasi che non si fosse dato molto peso, nelle prime battute, all’ipotesi che non potesse essersi trattato di suicidio. 

Sta di fatto che l’11 gennaio di questo anno il Pubblico Ministero, espletate tre perizie (una medica sulla compatibilità delle lesioni con l’evento suicidario, una sul computer del ragazzo, nel quale il padre dopo un anno avrebbe trovato un file che preannunciava l’evento, ed una sull’arma e sul proiettile) ha chiesto per la terza volta l’archiviazione del caso.
Come punti oscuri restano alcuni elementi che le lasceranno per sempre un alone di dubbi. Secondo quanto ricostruito da chi si oppone alla pista del suicidio, la ragazza di Giuseppe e la vittima sarebbero stati soli al momento del fatto, ma ciononostante non sono state fatte le prove STUB a nessuno dei due; sulla maglia che indossava il ragazzo, all’altezza del fianco sinistro, ci sarebbe stato un buco contornato di sangue la cui forma sarebbe stata uguale a quella lasciata dal proiettile sul foro della porta: la maglia non sarebbe però stata sequestrata, per cui non è stato possibile fare la prova STUB sulla stessa.

“Mio figlio era alto m 1,80 – ricorda Lorenza – mentre il foro provocato dal proiettile sulla porta del corridoio è stato misurato all’altezza di cm 167,5 e dietro, sulla parete, il buco era a cm 170, ma nessun esame balistico è stato fatto. I vestiti di Giuseppe mi furono restituiti tutti, ma non la maglia: su quella maglia, vedrò poi dalle fotografie, c’era un foro con aloni rossi, posto all’altezza del fianco, stranamente uguale al foro di ingresso”.

Stando a quanto contestato dal legale la testa del ragazzo era rasata, con taglio di capelli alla mohicana, ma non sarebbero state scattate fotografie sul lato della stessa dove il proiettile avrebbe trapassato  il cranio, rendendo impossibile verificare se il colpo sia stato sparato a bruciapelo o no, cosa che non sarebbe stato più possibile appurare dopo il disperato intervento chirurgico cui fu sottoposto. 

A rendere ancor più intricata l’intera vicenda il fatto che la donna, così come da lei stessa rifeto, avrebbe ricevuto minacce di morte, fino ad essere convocata dai Carabinieri per una denuncia di diffamazione a suo carico, sporta con tutta probabilità per i contenuti di un manifesto che lei stessa ha fatto affiggere a Velletri, nel quale ha fornito alla cittadinanza la sua versione dei fatti circa la morte del suo amato figlio.

Nulla, a detta della donna, avrebbe fatto pensare ad intenzioni suicide da parte di Giuseppe, che il giorno stesso della tragedia si sarebbe peraltro intrattenuto telefonicamente con una donna conosciuta a lavoro, con la quale ci sarebbe stato del tenero, almeno dal tenore degli sms scambiati anche quel pomeriggio. Anche gli impegni presi telefonicamente con la madre, per il taglio dei capelli, ma pure le crocchette preparate per il cane, come pure l’assenza di litigi o fenomeni depressori, avrebbe giustificato la voglia di farla finita, da parte di un ragazzo ben curato, con un lavoro stabile ed una sua indipendenza economica, datagli dal lavoro di guardia giurata, che svolgeva con merito presso l’Esa di Frascati.  

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Giuseppe Cipolla
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