Ott 11, 2018 Cisterna, CRONACA, NEI DINTORNI, PRIMO PIANO, TERRITORIO, Velletri Commenti disabilitati su Velletri – Omicidio Di Meo, chiesta la conferma dell’ergastolo per il mandante e il concorrente nell’uccisione
Confermare in appello la condanna all’ergastolo già inflitta in primo grado. E’ la richiesta con la quale il Pg, Simonetta Matone, ha chiuso la sua requisitoria nel processo d’appello per E.D., di origini albanesi, e per il romano C.G., accusati di essere rispettivamente il mandante e il concorrente nell’omicidio di Federico Di Meo, compiuto tra Velletri e Cisterna di Latina il 24 settembre 2013.
La seconda Corte d’Assise d’Appello emetterà la sua sentenza a inizio dicembre, dopo aver ascoltato le arringhe dei difensori dei due imputati.
Le prime indagini sulla morte di Di Meo non portarono a risultati apprezzabili, sino a quando Giancarlo Orsini da killer su commissione-pentito decise di collaborare con la giustizia, facendo luce su una serie di fatti delittuosi (omicidi, gambizzazioni e tante rapine) di cui si autoaccusò, indicando anche i mandanti.
Orsini la scorsa udienza é stato sentito in aula dai giudici d’appello, facendo riferimento alla sua conoscenza con i due imputati-condannati e al mandato omicidiario ricevuto, illustrando poi tutte le fasi che portarono all’omicidio.
Ieri, in aula, prima di passare la parola al Pg per le sue conclusioni, i giudici hanno preso atto dell’impossibilità di avere in aula uno dei testimoni di cui avevano ammesso l’audizione. Dopo un ulteriore accertamento immediato, ritenendo l’impraticabilità dell’accompagnamento coattivo disposto per il testimone F.D.V. (il quale con le sue dichiarazioni avrebbe introdotto processualmente una pista alternativa all’omicidio), ha revocato l’ordinanza ammissiva.
“La sentenza impugnata – ha detto il Pg Matone – é accurata ma fallace in alcuni punti. Orsini racconta i fatti con estrema precisione, e con riferimento al mandato omicidiario, il suo racconto é apparso logico e preciso. E’ provato che in quel periodo ci fosse una conflittualità tra Di Meo e l’uomo di origini albanesi. L’omicidio fu compiuto per uno scontro di potere”.
Successivamente, i legali di parte civile hanno chiesto la conferma della sentenza di condanna di primo grado.
LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO – Nel marzo del 2015 i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Roma e gli Agenti della Squadra Mobile della Questura di Roma hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 6 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di tre omicidi e tre gambizzazioni, fatti di sangue commessi a Roma e provincia nel 2013 e nel 2014.
Di seguito il resoconto che fecero dell’omicidio di Federico Di Meo: il 24 settembre 2013, alle ore 11.45 circa, a Velletri in via Appia Nuova Km. 48, un uomo con il volto travisato da casco, qualificatosi come ufficiale giudiziario, sparò cinque colpi di pistola al torace ed alla testa di Federico Di Meo, cagionandone la morte, dandosi poi alla fuga a bordo di un motociclo. Le indagini sul caso furono assunte dalla Squadra Mobile della Questura di Roma. In sede di collaborazione con la giustizia, Giancarlo Orsini ha confessato di avere personalmente assassinato il Di Meo su mandato di un 29enne di origini albanesi, residente a Velletri, il quale in tal modo intendeva rafforzare il suo predominio sulla piazza di spaccio di stupefacenti di Velletri. Per l’organizzazione dell’omicidio, l’Orsini si avvalse del supporto di C.G. che gli forniva le indicazioni sulle abitudini di vita della vittima e il motociclo e l’arma utilizzate durante l’azione delittuosa. L’albanese ricompensava Orsini e l’informatore per l’esecuzione dell’omicidio con le somme contanti di 17.000 euro e 3.000 euro.
Le dichiarazioni fornite dall’Orsini hanno consentito di corroborare le indagini già in atto a cura della Squadra Mobile della Questura di Roma sul grave fatto di sangue e di acquisire gravi indizi di colpevolezza a carico dell’albanese e di C.G. (poi catturato durante la latitanza in Kenia) per la violazione degli artt. 110, 575, 577 c.p. con l’aggravante di cui all’art. 7 della legge 203/1991 nella sua duplice formulazione, per avere agito avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p., utilizzando il metodo mafioso, e per avere operato al fine di consentire all’uomo di acquisire il predominio sulla piazza di spaccio di Velletri.
Infatti, dalle attività tecniche poste in essere era emerso che il 29enne veniva indicato come mandante dell’omicidio, malgrado sin dagli inizi si è avuta difficoltà nel cercare di ricostruire quanto accaduto e le motivazioni per cui il Di Meo fosse stato ammazzato a causa della reticenza dei testi che nel tempo venivano ascoltati, trovandosi di fronte ad un “muro di gomma” dovuto alla pericolosità dell’uomo, riconosciutagli diffusamente da tutte le persone interpellate, alcune delle quali avevano repentinamente abbandonato il territorio nazionale al fine di non essere escusse in merito a quanto accaduto.
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