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Prosegue la conta dei morti al Carcere di Velletri: uno stillicidio inaccettabile, un fallimento di tutti

suicidio carcere

di Maria Lanciotti

Quasi una routine la conta dei morti alla Casa Circondariale di Velletri, e non tutti deceduti per un qualche ‘malore fulminante’. Un autentico massacro che va avanti da anni e di cui all’esterno giunge solo qualche eco che non fa clamore, mentre s’accumula la pressione interna in un crescendo spaventoso.

La tragedia che si è consumata fra sabato 3 e domenica 4 novembre fra le mura del carcere, un 50enne morto per un ‘malore’ e un 33enne trovato appeso alle sbarre della cella d’isolamento, era più che annunciata, ma niente si è fatto da parte di nessuno per evitarla. Gli appelli, sempre più disperati, ripetutamente lanciati dai rappresentanti del personale carcerario, sono caduti come di prassi nel nulla, solo un tonfo quasi inavvertito nell’assuefazione degli orrori quotidiani.

La notizia del doppio decesso in poche ore, trasmessa con toni decisamente esasperati da Carmine Olanda, sindacalista dell’UGL (Unione Generale del Lavoro) Polizia Penitenziaria, non fa che rimestare nella piaga di un sistema carcerario sempre più incancrenito.

Non si capisce per esempio perché il giovane di Velletri, C. M. “che ha deciso di togliersi la vita impiccandosi”, arrestato solo qualche giorno prima per implicazioni legate al reato di ricettazione, si trovasse nel reparto isolamento “perché in attesa di posto in altra sanzione detentiva”. Così come non si capisce la mancata funzionalità del cosiddetto Repartino Psichiatrico nel secondo blocco della struttura, aperto nel 2012.

Intanto il carcere scoppia per sovraffollamento e si aggrava la carenza degli operatori carcerari a tutti livelli di competenze e di adeguata assistenza, e quello che dovrebbe essere un luogo di equa pena e conseguente riabilitazione diventa un focolaio di violenza incontrollabile che genera violenza, arrivando a picchi infernali che mandano in cenere sforzi e buoni propositi laddove ancora sussistono.

C’è da chiedersi perché nella Casa Circondariale maschile in via Campoleone a Velletri non sia garantita la separazione dei giovani dagli adulti, nello spazio ridotto di 3 mq calpestabili per ogni detenuto, in celle per due che ne accolgono almeno tre. E perché non esista un “Protocollo di prevenzione del rischio suicidario in Istituto” così come richiesto dall’OMS e dal Dap.

C’è da chiedersi perché nel carcere veliterno si registrino tanti casi di detenuti con “problemi psichiatrici o di doppia diagnosi” e perché si pensi di attrezzare un apposito reparto psichiatrico, in parte già funzionale, quando si trascura in totale l’opera di recupero dei detenuti, e perché non vengono minimamente applicate le norme sull’ordinamento penitenziario così come detta la Legge 26 luglio 1975, n.354.

E c’è da chiedersi perché la morte in carcere – e morte violenta – e gli innumerevoli casi di aggressione e autolesionismo, non implichino una partecipazione corresponsabile dell’intera comunità civile, moralmente ‘progredita’, che porti a riflettere e a interrogarsi sulla gravità ed entità del fenomeno, sulla sofferenza e solitudine alienazione non percepite e comunque non raccolte, sulla frustrazione del personale carcerario non messo in grado di esercitare correttamente la propria funzione, e su quello che può dirsi il fallimento di tutti quando persone affidate alle istituzioni sotto il controllo dello Stato, arrivano al punto di ‘farsi fuori’ piuttosto che sottostare a regimi presumibilmente disumani.

Questo e tanto d’altro c’è da chiedersi – e soprattutto chiedere ai vari responsabili in alto loco – perché si trovino rimedi per porre fine a uno stillicidio inaccettabile, tanto più se riferito a un carcere ‘leggero’ – per reati minori o per detenuti in attesa di giudizio – come la Casa Circondariale di Velletri.

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