CRONACA

Velletri – Omicidio Di Meo, clamorosi sviluppi: sentenza ribaltata in Corte d’Appello, dall’ergastolo all’assoluzione piena

assassinio di meo

Clamorosi sviluppi nel procedimento giudiziario legato all’omicidio di Federico Di Meo, ucciso ai confini tra Velletri e Cisterna di Latina il 24 settembre del 2013. 

La condanna all’ergastolo inflitta a coloro che erano stati in primo grado giudicati essere il mandante e il concorrente del suo omicidio é stata totalmente ribaltata dalla Corte d’Appello, che ha assolto in formula piena E. D. e C.G.

Federico Di Meo fu assassinato nel settembre del 2013

Condannati in primo grado all’ergastolo, D. e G. sono stati assolti, con la formula “per non aver commesso il fatto” dalla seconda Corte d’assise d’appello di Roma, presieduta da Tommaso Picazio.

Resta senza mandanti ed esecutori, quindi, un fatto delittuoso che nel 2013 catturò l’attenzione dell’opinione pubblica. Le prime indagini sulla morte di “Federichetto” non portarono a risultati apprezzabili, sino a quando G.O. decise di collaborare con la giustizia, facendo luce su una serie di fatti delittuosi (omicidi, gambizzazioni e tante rapine) di cui si autoaccusò, indicando anche i mandanti.

L’uomo in una delle udienze del processo d’appello é stato anche sentito in aula; ha fatto riferimento alla sua conoscenza con i due imputati-condannati e al mandato omicidiario ricevuto, illustrando poi tutte le fasi che portarono all’omicidio.

E.D. fu indicato come mandante, e C.G. come colui che fornì supporto all’operazione. All’esito dell’esame il Pg Simonetta Matone chiese per D. e G. la conferma della condanna all’ergastolo sentenziata dalla Corte d’assise di Frosinone. Dopo una lunga camera di consiglio, invece, si é giunti alla sentenza d’appello, che ha clamorosamente ribaltato la pronuncia di primo grado, tanto che i due sono stati assolti con formula piena.

Ricordiamo che nel mese di ottobre in aula, prima di passare la parola al Pg per le sue conclusioni, i giudici hanno preso atto dell’impossibilità di avere in aula uno dei testimoni di cui avevano ammesso l’audizione. Dopo un ulteriore accertamento immediato, ritenendo l’impraticabilità dell’accompagnamento coattivo disposto per il testimone F.D.V. (il quale con le sue dichiarazioni avrebbe introdotto processualmente una pista alternativa all’omicidio), aveva revocato l’ordinanza ammissiva.
“La sentenza impugnata – disse quel giorno il Pg Matone – é accurata ma fallace in alcuni punti. O. racconta i fatti con estrema precisione, e con riferimento al mandato omicidiario, il suo racconto é apparso logico e preciso. E’ provato che in quel periodo ci fosse una conflittualità tra Di Meo e l’uomo di origini albanesi. L’omicidio fu compiuto per uno scontro di potere”.
Successivamente, i legali di parte civile aveva chiesto la conferma della sentenza di condanna di primo grado. Condanna che, invece, non c’é stata, sino al ribaltamento della sentenza.

LA PRIMA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO – Nel marzo del 2015 i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Roma e gli Agenti della Squadra Mobile della Questura di Roma diedere esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 6 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di tre omicidi e tre gambizzazioni, fatti di sangue commessi a Roma e provincia nel 2013 e nel 2014.

Di seguito il resoconto che fecero dell’omicidio di Federico Di Meo (a questo punto ancora tutto da ricostruire): il 24 settembre 2013, alle ore 11.45 circa, a Velletri  in via Appia Nuova Km. 48, un uomo con il volto travisato da casco, qualificatosi come ufficiale giudiziario, sparò cinque colpi di pistola al torace ed alla testa di Federico Di Meo, cagionandone la morte, dandosi poi alla fuga a bordo di un motociclo. Le indagini sul caso furono assunte dalla Squadra Mobile della Questura di Roma. In sede di collaborazione con la giustizia, G.O. confessò di avere personalmente assassinato il Di Meo su mandato di un 29enne di origini albanesi, residente a Velletri, il quale in tal modo intendeva rafforzare il suo predominio sulla piazza di spaccio di stupefacenti di Velletri. Per l’organizzazione dell’omicidio, l’uomo si avvalse del supporto di C.G. che gli forniva le indicazioni sulle abitudini di vita della vittima e il motociclo e l’arma utilizzate durante l’azione delittuosa. L’albanese ricompensava O. e l’informatore per l’esecuzione dell’omicidio con le somme contanti di 17.000 euro e 3.000 euro. Una ricostruzione sconfessata dalla sentenza d’appello, tanto che ad oltre 5 anni di distanza tutto viene rimescolato e sull’omicidio di Di Meo torna un grande punto interrogativo.

Più informazioni