di Maria Pia Santangeli
Originale la formula della conferenza che la scrittrice Rita Gatta ha tenuto il 19 febbraio scorso presso la Biblioteca comunale di Rocca di Papa. Una ricerca strettamente storica, molto documentata, inframezzata da otto dialoghi immaginari fra paesani che commentano in dialetto rocchigiano i fatti del giorno. La grande Storia scende nelle strade poco agevoli del tempo, al lavatoio, in piazza, rendendo attuali i piccoli e grandi avvenimenti vissuti dalla gente comune.
Gli anni analizzati dalla scrittrice sono quelli della permanenza a Rocca di Papa del chirurgo cesanese Leonida Montanari, ( 1823 -1825 ). il carbonaro fatto giustiziare a Roma nel 1925 da Papa Leone XII insieme ad Angelo Targhini.
La ricerca di Rita Gatta ha preso l’avvio dalla esauriente tesi della dottoressa Annalisa Gentilini, incentrata sulla figura di Leonida Montanari, con la quale si è laureata all’ Università di Roma 3 nell’anno accademico 2003- 2004.
Com’era il paese in quegli anni ? Si è chiesta la conferenziera. Attraverso accurate ricerche di archivio ( Archivio storico comunale di Rocca di Papa, Archivio parrocchiale di Rocca di Papa, archivio diocesano di Frascati) Rita Gatta ha ricostruito la situazione sociale ed economica del paese, riuscendo a dipingere ai numerosi presenti un quadro inedito- e per questo particolarmente interessante- della Rocca di Papa del tempo.
Il paese contava allora 1742 abitanti circa. L’amministravano un Priore e un Consiglio, coadiuvati dalla Congregazione del Buon Governo che si occupava in particolare delle questioni economiche. Le decisioni venivano prese con il sistema della pallottazione: palle bianche per l’approvazione, palle nere il contrario.
Rocca di Papa, in parte distrutta dal terremoto del 1806, non era stata completamente ricostruita, tanto che la maggioranza delle strade erano così dissestate da rendere al parroco Don Vincenzo Fazi molto difficile, se non impossibile, portare il viatico ai moribondi.
Il commercio era regolato dalla cosiddetta privativa: chi voleva aprire una bottega doveva chiedere vari permessi e poi pagare tasse a non finire. Di fatto tutta la comunità era vessata da numerosissime tasse ( sugli animali, sulla sfoiettatura, sul macinato, sui trasporti… ) e ogni occasione era buona perché ne venissero aggiunte di nuove. Anche la ricostruzione della chiesa- in parte crollata di nuovo nel 1814- gravava con un’apposita gabella sul magro bilancio delle famiglie. L’analfabetismo era imperante, come in tutta Italia d’altra parte, anche se già da tempo- esattamente nel 1730- santa Lucia Filippini aveva aperto una scuola per le fanciulle. Ma a scuola andavano veramente in pochi: i bambini, appena erano in grado di farlo, aiutavano i genitori in campagna e nei boschi.
Su queste realtà Rita Gatta ha costruito i suoi dialoghi in dialetto: ecco le donne che vanno a fare un po’ di spesa e si lamentano di un certo fornaio che non cuoce bene il pane per farlo pesare di più, altre invece si rallegrano per la costruzione di una nuova fontana nella parte più bassa del paese, più comoda per loro; due boscaioli devono partecipare ad un’asta per il taglio delle piante cadute, ma uno non sa scrivere, non è andato a scuola, metterà una croce. Il pessimo stato delle strade viene lamentato da altri che ricordano l’impossibilità per il parroco di portare l’olio santo ai moribondi. E una lagnanza generale è quella sulle imposte.
Degli otto dialoghi ben tre sono dedicati a Montanari. Il primo, scherzoso, immagina due comari che sospettano malignamente una relazione del bel Montanari con una giovane rocchigiana. In un secondo dialogo Rita Gatta descrive un uomo che va a farsi medicare dal nuovo chirurgo: si è sgaratu un braccio con il filo spinato nel tentativo di rubare qualche pera nell’orto di un compaesano; il chirurgo ricucendo la ferita, lo consiglia di non tornare a rubare, altrimenti la prossima volta buscherà un’archibugiata. L’ultimo, il più dolente, ma nello tempo rassegnato, si riferisce invece alla morte del giovane Leonida, a cui gran parte dei paesani si erano ormai affezionati: ‘N mi sta piune, ha vistu?/ De chi sti a dice?/ De Montanari. / E che no’ sa’? J’’hau tajata a capoccia/ Ma davero sti’ a dice ? / Sì a Roma, u compare Giuliettu stea a piazza der Popolo il 23 novembre e mastro Titta j’a staccatu u capu, prima a Targhini e po’ a issu…
Avranno compreso i rocchigiani di allora la passione ideale che ha portato alla morte il giovane chirurgo?Su questa domanda che sicuramente alcuni dei presenti si sono posti, sono state proiettate alcune interessanti immagini di Rocca di Papa tratte da quadri e litografie dell’800.
Il chitarrista Paolo Valbonesi, sempre disponibile a rendere più ricche le serate culturali , ha chiuso il suo trio di canzoni con la serenata di un musicista anonimo, rivisitata dal maestro Nicola Piovani, volutamente cantata quasi sottovoce per far risaltare l’intimità del sentimento d’amore.
Una serata serena, molto stimolante.
I ringraziamenti sono doverosi: all’Associazione culturale L’Osservatorio nella persona della coordinatrice Antonia Dilonardo a cui si deve l’iniziativa della conferenza, alla bibliotecaria Rosita Millevolte, perfetta padrona di casa, naturalmente alla scrittrice Rita Gatta e al musicista Paolo Valbonesi.
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