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Velletri – L’infermiere Devis Di Cocco in missione nel reparto COVID-19 dell’Ospedale di Savignone

Devis Di Cocco con l'armatura Covid-19

Tra i medici e gli infermieri che nei mesi scorsi hanno prontamente aderito alla campagna indetta dalla Protezione Civile Nazionale per partire come personale specializzato nelle strutture del Nord d’Italia, date le importanti carenze riscontrate nelle città più colpite dall’emergenza Covid-19, c’è anche Devis Di Cocco, un audace infermiere cittadino di Velletri. Devis, classe 1983, dopo gli studi in Scienze Infermieristiche all’Università di Tor Vergata di Roma, ha iniziato la sua professione specializzandosi in diversi campi e cercando di ampliare il suo bagaglio di conoscenze per essere il più possibile multitasking e fare pratica in più reparti ospedalieri.

Devis Di Cocco con l'armatura Covid-19

La passione per questo lavoro lo ha portato anche all’estero, in Inghilterra, dove ha lavorato presso l’ospedale di Portland. A Roma, ha iniziato la sua carriera prima, all’Ospedale Sandro Pertini e poi, presso l’UTIC – Unità di Terapia Intensiva di Nemi, dove ha sostenuto anche il Corso OSS, infine presso il Policlinico Casilino. Qui ha portato a termine con successo il Corso di prelevatore sangue, grazie al quale ha potuto offrire la sua professionalità alle sedi AVIS del territorio dei Castelli Romani, dove è conosciuto e apprezzato da tutti, donatori e volontari.
Oggi Devis lavora a tempo pieno presso l’Ospedale di Valmontone con un contratto a tempo indeterminato. Nel mese di marzo, nonostante fossero i giorni più cupi e tristi vissuti dagli ospedali italiani, lì dove si stava consumando una guerra in trincea come mai vista prima, l’infermiere veliterno non ha esitato ad inoltrare immediatamente la domanda per prestare servizio nelle strutture del Nord. Le tante specializzazioni presenti nel curriculum, il coraggio e l’intraprendenza hanno permesso a Devis di essere subito scelto tra i 500 medici e infermieri diretti a Milano. Il 15 maggio scorso, ha iniziato il suo periodo di volontariato, che giunge al termine proprio oggi, 15 giugno. Insieme con altri colleghi è partito da Roma, carico di forza di volontà e con una valigia colma solo di coraggio e dedizione verso il prossimo. L’infermiere è arrivato nella città meneghina e qui gli è stato assegnato l’ospedale dove è stato indirizzato e dove attualmente sta prestando servizio, l’Ospedale di Savignone, nella città metropolitana di Genova.
In questi territori ancora non del tutto usciti dall’emergenza, Devis sta svolgendo in queste settimane la sua missione. Missione, è proprio così che questo infermiere, durante la chiacchierata con Castelli Notizie, chiama la sua scelta. Una parola “semplice” che con grande pacatezza racchiude ed esprime tutto il senso e l’amore verso il mestiere che ha deciso di portare a termine ogni giorno. Nessuna esitazione, nessuna paura, ma solo una grande voglia di contribuire all’emergenza e di mettersi a disposizione della nazione. Questo infermiere ha fatto una scelta come tanti, come i tanti che hanno iniziato questa professione per passione e la portano avanti come  una missione attraverso la quale dedicarsi al prossimo e alla comunità, sempre e in ogni condizione; come i tanti loro colleghi che, purtroppo, sono deceduti incontrando questo virus maledetto fra le corsie, compiendo il loro lavoro quotidiano, come veri e propri eroi.

L'infermiere Devis Di Cocco nel reparto di Savignone


Con garbo e gentilezza, Devis ha raccontato alcuni particolari di questa esperienza a Castelli Notizie, con grande carica umana.
Devis perché ha scelto di partire in “missione” negli ospedali del Nord?
“Quando ho saputo che la Protezione Civile stava cercando personale per sopperire alla mancanza nelle regioni del Nord più colpite dal Coronavirus, non ho esitato a fare la domanda. Mancavano operatori sanitari, c’era bisogno di me e del mio servizio. Ho prestato le mie competenze per l’Italia e per tutti gli ammalati. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma non avevo paura, sapevo di poterlo fare o meglio mi sentivo di farlo”.
Quando ha saputo di essere stato accettato tra i volontari come ha reagito?
“Sono stato felice, non mi è mancato mai il coraggio, nemmeno per un attimo. Non ho mai avuto timore del contagio e della mole di impegno che avrei incontrato in corsia. Adesso, fortunatamente, abbiamo tutti i dispositivi di sicurezza indispensabili, non è come è stato per i miei colleghi all’inizio dell’emergenza, quando non si avevano i mezzi necessari per proteggersi. Tanti medici e infermieri, purtroppo, sono morti per questo. Noi siamo partiti già preparati e conoscendo tutti i protocolli del Lazio e delle altre regioni di destinazione”.
Come si svolge una sua giornata tipo presso l’Ospedale di Savignone?
“Sono alloggiato con altri medici e infermieri in albergo. Le mie giornate in ospedale scorrono veloci. Lavoriamo su turni settimanali. Nei reparti ci sono ancora diversi pazienti e qualcuno anche in terapia intensiva, contagi risalenti ai mesi passati. Ogni giorno, ci dobbiamo vestire e svestire accuratamente. Indossiamo le nostre armature quotidiane. In albergo abbiamo tutti i presidi da mettere prima del nostro turno. Quando terminiamo, non dobbiamo portare nulla fuori dalla struttura , tutto va gettato negli appositi rifiuti. Un iter necessario. Il lavoro passa tra controlli e routine giornaliere da tenere sotto controllo accuratamente. Nei reparti Covid non si entra e non si esce. Ogni settima facciamo almeno un tampone di controllo. Mi sono abituato a tutto questo , non mi affatica. Quello che più mi pesa è vedere la tristezza e la paura negli occhi dei malati, specialmente di quelli in terapia intensiva. Tutti i malati sono soli, senza contatti con il mondo esterno. Siamo solo noi il loro legame. Cerchiamo di consolarli con pochi gesti essenziali, ma a volte è difficile. Vedere quegli occhi è davvero doloroso, ti rimangono impressi nella mente e nel cuore per sempre!”.
Quale situazione si riscontra oggi nell’ospedale di Savignone e negli ospedali di Genova, l’emergenza può considerarsi finita?
“Diciamo che l’emergenza è passata, ma ci sono ancora dei casi. L’ospedale è ancora solo Covid, ma la situazione è stabile: circa 25 pazienti, di cui 7/8 ancora in terapia intensiva. Bisogna stare ancora in allerta e molto attenti. A Genova e nelle cittadine limitrofe, ora che si sta tornando alla normalità, vedo troppa gente in giro incurante di proteggersi e di proteggere gli altri”.
Piano, piano stiamo tornando verso la normalità, il Covid-19 continua a fare paura in corsia?
“Ora le strutture ospedaliere sanno come affrontarlo, ma è un virus subdolo di cui non conosciamo abbastanza. Quello che sappiamo è che il virus lascia nell’ospite dei ricordi, dei gravi segni in molti organi: nei polmoni, nei reni e nel fegato. Per questo motivo, non dobbiamo abbassare la guardia, anche se le morti in questo momento sono poche. Dobbiamo farlo anche in onore di chi oggi, purtroppo, non c’è più! ”.
Cosa ricorderà di questa esperienza passata al Nord nell’era Coronavirus?
“Certamente, mi resteranno tante cose impresse nella mente e nell’anima, emozioni forti difficili da dimenticare. Professionalmente ho imparato tanto lavorando con i colleghi del posto e seguendo ritmi così incalzanti. I volti dei malati non li scorderò mai, sono sicuro, e mi dispiacerà non essere più d’aiuto fra queste corsie!”.

Eliana Lucarini

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