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La Memoria del…gusto: le influenze ebraiche nella cucina italiana – La ricetta dei Carciofi alla Giudia

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La memoria del gusto: un focus sulle influenze ebraiche nella cucina italiana

di Veronica Falcone

Memoria e tradizione, nelle usanze culinarie ebraiche, hanno un profondo legame nella cultura di questo popolo. Infatti, in moltissime ricorrenze sacre, il popolo ebraico utilizza proprio il potere figurativo e culturale del cibo per mantenere viva la memoria di quello che è stato, facendo in modo che venga tramandata nei secoli.

Per la Giornata della Memoria, Castelli Notizie ha deciso di rendere omaggio all’apporto culturale fornito da questo popolo alla cucina Italiana, in particolare alla cucina Romana, grazie al quale sono nati alcuni dei piatti più famosi della nostra tradizione. Quella di Roma rappresenta infatti la più antica comunità ebraica italiana, e massima espressione della testimonianza delle contaminazioni culturali in ambito culinario.

Il Ghetto di roma- foto antica
Il Ghetto di Roma

Il passaggio del popolo ebraico ai Castelli Romani

Di dovere, prima di entrare nello specifico di un discorso culinario, un piccolo excursus sul passaggio di questo popolo nel territorio dei castelli Romani. In Lucidi, E., Memorie storiche dell’antichissimo Municipio ora Terra dell’Ariccia e delle sue colonie Genzano e Nemi, Roma 1796, si legge: “Il cognome “Ariccia”, appartenente a svariate famiglie ebraiche romane, infine, conferma l’esistenza di un insediamento israelitico nella località”. Sembra infatti, che alcune testimonianze di insediamenti ebraici ad Ariccia risalgono addirittura periodo romano, per poi riapparire nel 400’e del 700. Sono presenti inoltre, anche documenti che di insediamenti presso la città di Genzano. Interessanti, anche le testimonianze raccolte all’interno di un articolo dalla penna di Anna Esposito, per “La rassegna mensile di Israel”, pubblicata dall’unione delle comunità Ebraiche Italiana, prova della presenza di prestatori ebrei a Marino, alla fine del quattrocento.

Ristoranti nel ghetto ebraico a Roma
Ristoranti nel ghetto ebraico a Roma

Di grande aiuto al fine della comprensione del passaggio degli ebrei ai Castelli Romani, è anche il libro “La presenza ebraica nella diocesi di albano prima della bolla di Pio V”, di Luca Galieti, pubblicato nel 2016. Il libro si concentra sui territori di Ariccia, Civita Lavinia, Marino e Nettuno, con alcuni cenni sulla comunità ebraica di Velletri. Il quadro che viene tratteggiato dall’autore descrive con precisione la situazione degli ebrei nelle singole cittadine dei Castelli romani prima della Bolla di papa Pio V (1569). Mediante un certosino lavoro di recupero dei documenti si certifica come la presenza ebraica nei Castelli romani sia stata determinante sotto molti aspetti. Un contributo per imparare dalla nostra storia, recente e remota.

L’apporto del popolo ebraico alla cucina Italiana: come la cucina ebraica, nel corso dei secoli, si è identificata con quella italiana

In seguito alla Diaspora – in lingua ebraica ‘Tefutzah’ o ‘Galut’ גלות, letteralmente “esilio”, “dispersione”, la dispersione del popolo ebraico avvenuta durante il regno di Babilonia e sotto l’impero romano – gli ebrei arrivarono in varie parti di Europa. Il loro insediamento in questi luoghi per loro nuovi, diede vita nel tempo a quelle che oggi chiameremmo cucine fusion: cucina ashkenazita del Nord Europa e quella sefardita, ricca e mediterranea di matrice spagnola e portoghese, e poi verso Turchia e Grecia la parte levantina.

Ultima ma non per importanza, quella Italiana, che per la sua vastità e diversità rappresenta una cucina a sé. Infatti, proprio come la cucina Italiana differisce molto da ragione a regione, così anche quella Italiana Ebraica è caratterizzata da queste differenziazioni geografiche, che in alcuni casi sono ancora più marcate, differendo da ghetto a ghetto. È per questo, che anche nel caso nella cucina di contaminazione ebraica, è più consono parlare di cucina regionale. Tuttavia, tutte queste cucine devono appellarsi alla rigida Kasherut, la legge dell’alimentazione ebrea, detta Kosher, grazie alla quale gli ebrei praticanti devono seguire dei precetti sacri, che impongono per esempio di non poter preparare o consumare insieme carne e latte, poiché nella bibbia è riportato:” Il sangue dell’agnello non toccherà il latte della madre”. Un retaggio culturale legato a questi precetti, è la divisione ancora vigente nei ghetti della separazione tra ristoranti che servono latticini e quelli che servono carne. Sono più che altro le leggi alimentari, ancora oggi, a determinare la vita dell’ebreo.  

In Italia, si hanno vari punti nevralgici che più di altri hanno beneficiato delle influenze ebree, come è stato in diverse zone della Sicilia, del Veneto, in particolare Venezia, e ovviamente Roma.  In Sicilia, grazie a alcune testimonianze storiche e al lavoro di alcuni studiosi (come Toaff A. ed il suo Cucina ebraica, cucine ebraiche – Il Mondo in Cucina. Storia, identità, scambi. O Simonhson S., autore di Tra Scilla e Cariddi. Storia degli Ebrei in Sicilia) sappiamo che molti settori della produzione alimentare nell’Isola erano concentrati nelle mani dei rappresentanti della comunità giudaica, in particolare, quello caseario e vinicolo [14], dove i produttori ebraici hanno avuto quasi il monopolio fino al XV secolo. Nello stesso ambito è concentrata anche la produzione e la vendita dello zucchero e dell’olio vegetale, la commercializzazione del pesce, della frutta e delle verdure, così come della carne. Testimonianza di uno scambio culturale tra comunità ebraica e cristiana che a volte ha osservato violazioni alimentari delle norme della Kasherut. Queste contaminazioni si ritrovano anche nella pasticceria, basti pensare al marzapane, a base di uno dei prodotti giunti a noi grazie agli ebrei: la mandorla. Ma anche cous cous e varie pietanze a base di melanzane, che occupano un posto ampio ed importante nel ricettario tradizionale siciliano. Le melanzane, furono infatti adottate dalla “povera” cucina siciliana, come prestito dal locale menù ebraico.  

Altro punto nevralgico delle influenze ebraiche sulla cucina Italiana è Venezia. Alcuni dei piatti tipici della cucina Veneziana si devono infatti agli ebrei, e sono veramente tantissimi per citarli tutti. Un esempio, forse il più calzante, è rappresentato dalle famigerate sarde in saor, nate grazie all’uso del gusto agrodolce tipico degli ebrei spagnoli. Infatti, oltre all’influenza dei precetti religiosi, la cucina italo-ebraica è stata influenzata dalla provenienza geografica degli ebrei che abitavano l’Italia. Nonostante il ghetto Veneziano sia più antico rispetto a quello Romano (istituito dopo la bolla del papa pio IV del 1555) è Roma a rappresentare l’esempio più eclatante del risultato della fusione di due cucine, dalle quali ne nacque una ancora oggi fortemente identitaria di due popoli differenti.  

Cucina Giudaico-romanesca: i piatti romani di origine ebraica

Quando si parla di cucina, è impossibile prescindere dalle contaminazioni culturali avvenute nel corso dei secoli, e che avvengono ancora oggi. Queste hanno dato e danno vita a nuove tradizioni, che per definizione non possono infatti essere considerate statiche e immutabili. Parlare della cucina giudaico-romanesca, significa compiere un viaggio nel gusto che attraversa i secoli e i territori, analogia del viaggio che questo popolo ha compiuto nel corso dei secoli, probabilmente il più lungo che la storia ricordi. Vari fattori concorrono a rendere la cucina giudaico-romanesca una cucina forse unica nel suo genere, come ad esempio il fatto che in questo caso specifico, le varie provenienze geografiche degli ebrei che abitavano la città furono decisive nella creazione dei pilastri dell’identità culinaria.

Il carciofo alla giudia, sembra essere infatti un’eredità lasciataci dagli ebrei spagnoli. Merito degli spagnoli è anche l’introduzione dell’uso dell’olio d’oliva in cucina, un prodotto decisamente fuori dalla portata dei romani dell’epoca. L’olio rappresenta infatti un caposaldo della cucina ebrea, che ha portato la frittura ad essere una delle preparazioni più diffusa di questa cucina. Proprio per questo dobbiamo attribuire alcuni prodotti di friggitoria fortemente radicati alla cultura romana, ad una matrice ebrea: i fiori di zucca farciti con mozzarella ed alici, ed i filetti di baccalà fritti (non a caso, il baccalà è di origine spagnola). Sembra che anche l’uso delle frattaglie (rigorosamente private di sangue, come i precetti impongono) sia da attribuire agli ebrei.

Cibo Kosher all'interno di un supermercato moderno
Cibo Kosher all’interno di un supermercato moderno

Negli archivi della comunità compaiono ricette come le animelle con i ceci, la trippa con l’agliata, lingue salmistrate, milze in padella con la salvia e agresto, creste di pollo con aceto e cannella. Queste preparazioni non sono arrivate sino a noi, ma l’uso di frattaglie, trippa e pajata rimane comunque un fondamento della cucina romana, a differenza di queste ricette ha attraversato i secoli.

Anche la coppietta, prelibatezza che si può gustare all’interno di ogni tipica fraschetta dei castelli Romani, nasce da influenze ebraiche, più che altro da necessità, poiché non avendo molto di che mangiare, furono capaci di ingegnarsi ed inventare piatti con ciò che riuscivano a rimediare. Per quanto riguarda i dolci, ad imporsi sono i sapori mediterranei e orientaleggianti del miele, della frutta secca e dei canditi, già conosciuti e apprezzati dai Romani.

La ricetta per un perfetto carciofo alla giudia

Come giusta conclusione di questo focus sulle radici della cucina giudaico-romanesca, come esaltazione del fondamentale apporto di questo popolo alla cucina Italiana, ecco la ricetta per un perfetto carciofo alla giudia, direttamente dal ristorante “La taverna del Ghetto”:

Ingredienti per 4 persone:

4 Carciofi
1,5 lt di olio extravergine d’oliva
1 Limone
Sale e pepe (q.b.)

Il carciofo alla giudia è uno dei piatti più conosciuti della cucina giudaico-romanesca. Le sue radici si fondano nell’antico ghetto ebraico e riportano le lancette della storia indietro di molti secoli, a quando le massaie ebree impararono una preparazione che la Taverna del Ghetto ha ripreso e riprende fedelmente.

La ricetta del carciofo alla giudia va seguita con molta attenzione, perché un minino errore può rovinare questo contorno dal sapore inconfondibile. Il segreto è acquistare dei carciofi molto teneri, a cui vanno tolte le foglie più dure e metterli in un recipiente d’acqua fresca con il succo di limone, facendoli riposare.

Appena tolti dall’acqua, vanno fatti scolare per bene e poi battuti uno contro l’altro per farli aprire per bene.

A questo punto fate scaldare l’olio e una volta pronto mettete a friggere i carciofi, ponendoli nell’olio a testa in giù, avendo cura che non si brucino né rimangano troppo molli controllandoli e girandoli con l’aiuto di una forchetta. Appena pronti metteteli a scolare su della carta per far togliere l’olio in eccesso poi aggiungete sale e pepe.

Servite a tavola ben caldi!

carciofo alla giudia
Carciofo alla Giudia

a cura di Veronica Falcone

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