Attualità

Racconti Enologici, una visione d’eleganza con l’Azienda Agricola Castel De Paolis di Grottaferrata

Copertina articolo (3)

Una storia di profondo legame con il territorio, accompagnata dalla voglia di far arrivare lontano questi territori, che da sempre caratterizza il lavoro dei Santarelli.

© Francesco Vignali Photography
© Francesco Vignali Photography

di Veronica Falcone


Visionari, ieri Giulio, oggi il figlio Fabrizio, che porta avanti l’azienda agricola Castel de Paolis di Grottaferrata con la classe e l’eleganza che lo distinguono. Dopo una laurea in economia ed un lavoro in una grande istituzione finanziaria, l’esperienza di vita a New York e Londra, portano Fabrizio ad avere uno sguardo vigile sul mondo e sui mercati internazionali, permettendo
ai vini di questo territorio di arrivare sulle tavole di diversi paesi in tutto il mondo.

Una pietra miliare dell’enologia dei Castelli Romani, l’azienda Castel De Paolis è la protagonista della terza storia di vino del nostro approfondimento sulla realtà dei Vignaioli in Grottaferrata. Fabrizio, nostra guida per questo appuntamento, ci allieta con la calda accoglienza che si conferma essere uno dei punti forti dei Vignaioli.

Uniti, per camminare fianco a fianco

“Quella dei Vignaioli è una bellissima idea che paradossalmente è nata in pandemia. La cosa veramente incredibile è il grande rapporto personale che c’è tra di noi. Una grande stima e collaborazione che purtroppo tra i viticultori non sono scontate. Così abbiamo deciso di mettere a sistema tutte queste nostre conoscenze e relazioni. Io rappresento la cantina più antica, e avendo più esperienza e più rapporti ho aderito entusiasticamente, al contrario di quanto avrebbero fatto magari altri al mio posto. Credo molto nella valorizzazione del territorio, ma una rondine non fa primavera. Negli anni ho fatto molto per perseguire questo obiettivo, ma sicuramente l’unirsi, dando vita ad unico corpo e proponendosi così all’esterno, è la chiave per diventare anche più appetibili. In effetti così è stato. In questo modo le grandi realtà che abbiamo attirato, come ad esempio la FIS – Fondazione Italiana Sommelier, non si dimostrano interessate alla singola azienda, ma al territorio. Questo ci ha permesso anche di ricevere più attenzione da
parte dei ristoratori. Si è innescato un circolo virtuoso che sicuramente ci porterà lontano. È per questo che ci presentiamo con le storie di vino, ognuno di noi ha una storia diversa. Ma unite, queste storie danno
origine a qualcosa di davvero importante”.

© Francesco Vignali Photography
© Francesco Vignali Photography


Una visione vincente


L’azienda sorge sull’ultimo lembo di Grottaferrata. I vigneti, tutti reimpiantati negli anni 80’, sono stati creati con una grande fittezza per ettaro, proprio per favorire la qualità dell’uva. Con quello che
probabilmente è un patrimonio ampelografico unico nella zona, l’azienda si distingue per i suoi 13 vitigni (circa) tra nazionali ed internazionali. Un patrimonio arricchito dalla presenza del moscato rosa che a livello
nazionale, al di fuori del Trentino, viene prodotto solo qui, presso l’azienda Castel de Paolis. Vero vanto e punto di forza dell’azienda, è però la storia che spiega la presenza di queste diverse varietà. I terreni appartengono alla famiglia santarelli già dagli anni 60, quando le uve venivano vendute alle cantine sociali.

Con la decisiva ambizione di volere un qualcosa in più, non creando un’azienda come un’altra, ma dando vita ad un’azienda di alto profilo, ed in seguito all’incontro tra Giulio santarelli ed Attilio Scienza – luminare
in campo enologico, all’epoca direttore dell’Istituto agrario di san Michele all’Adige – nella metà degli anni 80’, arrivò la svolta. Attilio Scienza – con l’aiuto dei suoi ricercatori e con il fondamentale assenso di Giulio che si dimostrò più che favorevole all’intervento sui suoi terreni di un professionista di quella portata – decise, nella parte alta del vigneto, di togliere mezzo ettaro di vitigni e di reimpiantarlo con circa 25 tipi di
uve diverse, dando vita ad un vero e proprio campo sperimentale, proprio per studiare le diverse caratteristiche di ogni vitigno. Questo progetto, considerando che prese vita negli anni 80’, si può sicuramente definire il frutto del lavoro di uomini visionari, in assoluto contrasto con le tendenze
enologiche dell’epoca (ricordiamo ad esempio, lo scandalo del Metanolo del 1986). Un’eredità, questa, di tutto rispetto, che si rintraccia poi nell’altissima qualità dei vini prodotti dall’azienda.

Fu addirittura installata una centralina elettronica in questo vigneto sperimentale, dove si andavano ad incrociare le curve di maturazione delle uve con i dati climatici, come precipitazioni, umidità ed escursione
termica. Un lavoro scientifico a tutti gli effetti. Tre anni dopo si eseguì la micro vinificazione di ogni vitigno sperimentale, giudicata da una commissione d’assaggio istituita per l’occasione, al fine di capire quali fossero i blend più riusciti. Infatti, dei 25 vitigni sperimentali, la metà non diede i risultati sperati e per questo non furono adottati. Per il Frascati, che era già regolato da un disciplinare che indicava quali uve poter utilizzare per la produzione di questo vino, la scelta fu limitata. Il risvolto interessante fu infatti per quanto riguarda i vitigni internazionali. Grandi risultati furono ottenuti dal Viognier, il Semillon, il Sauvignon Blanc, lo Shiraz ed il Petit Verdot. Ma anche dal Cesanese, che non a caso è l’unica doc e docg rossa del Lazio, e dal Cabernet e merlot, vitigni molto resistenti che si adattano bene. Infine, il Moscato Rosa. In seguito ai risultati di questa sperimentazione, dal 1989 al 1993, si procedette all’espianto totale del vigneto, con il seguente reimpianto dei vitigni selezionati. Un’operazione di altissimo livello durata ben otto anni, sicuramente tratto distintivo dell’azienda, che diede definitivamente vita al Brand Castel De Paolis.

la grotta storica

Dopo la vigna, la volta della cantina


Dopo la rivoluzione in vigna, si rese necessaria una cantina adeguatamente attrezzata, ricostruita nuova tra il 2004 ed il 2006, facendo rientrare nello stesso piano di investimenti lo sviluppo di spazi per il ricevimento di ospiti e per l’implemento del turismo enologico. La filosofia adottata in cantina, come lo stesso Scienza suggerì all’epoca, fu quella della tecnica del freddo per il controllo della fermentazione. La cantina si compone infatti di una parte iniziale in cui sono i presenti i tini, dotati di un sistema di refrigerazione comandato da un gruppo frigo esterno, controllato da un pannello presente in cantina, che conferisce ad ogni singolo tino la possibilità di fermentare a bassa temperatura. In questo modo i bianchi vengono fermentati a 15°, rispetto ai 30° naturali, mentre per i rossi la temperatura sarà un po’ più alta. La bassa temperatura favorisce anche una maggiore estrazione degli aromi, consentendo di trattenere la maggior parte delle sostanze organolettiche all’interno del vino.

Un altro accorgimento che l’azienda Castel De Paolis adotta, è quello di spandere del ghiaccio secco sull’uva appena vendemmiata, in modo tale che nel tempo intercorso tra la vendemmia e la messa in pressa dell’uva vendemmiata, non si sviluppino fermentazioni indesiderate. Facendo arrivare alla pressa un’uva perfetta. Anche in fase di vendemmia gli
accorgimenti sono molteplici, una vendemmia abbastanza lunga che richiede diverse tempistiche per le diverse varietà di uve allevate in azienda. Si procede poi con la barricaia, dalla quale si accede alla grotta
storica.

Un patrimonio archeologico che arricchisce il territorio

“Quando 30 anni fa abbiamo acquistato l’immobile che sorge sul terreno dei vigneti” racconta Fabrizio “qui era tutto quanto interrato. Dopo qualche anno, eseguendo i lavori di ristrutturazione, si intravedevano le punte di alcuni archi emergere da quello che allora era pavimento. Incuriositi, abbiamo chiesto di scavare. Così tutto questo ambiente, vide la luce. In realtà la grotta è anche più grande di come appare, ma per via
delle fondamenta della struttura gli scavi non sono andati oltre. Incuriosito, chiesi ad un mio amico archeologo che conosceva bene la zona di venire a fare un sopralluogo. Così si è scoperto, in base alla composizione degli archi e dello scalino che delinea tutto il perimetro della grotta, che si trattasse di
cisterne di epoca romana, proprio perché a Grottaferrata in diverse ville è stata rinvenuta nel tempo questa tipologia di architettura. D’altronde qui il patrimonio storico archeologico è davvero vasto, basti pensare all’abbazia di San Nilo. La grotta non viene utilizzata per la vinificazione. Al suo interno conserviamo delle bottiglie d’annata, ed è anche possibile organizzare degustazioni in questo ambiente così suggestivo”.

Campo Vecchio Rosso
Campo Vecchio Frascati Doc
Donna Adriana
Rosathea
Muffa Nobile

I Vini di Castel de Paolis

L'etichetta di Castel De Paolis

La produzione dell’azienda si compone di diverse etichette: il “Campo Vecchio” bianco, un blend delle due malvasie e Viognier; il Frascati superiore, che quest’anno ha ricevuto diversi premi, prodotto con un blend di Malvasia puntinata, Trebbiano giallo, Bellone e Bombino; il “Donna Adriana”, bottiglia che Giulio Santarelli dedicò alla moglie Adriana, ottenuto da un blend di Viognier e Malvasia del Lazio; il “Campo
Vecchio” Rosso, da un blend di Shiraz e Cesanese; il “Quattro Mori”, rosso di punta dell’azienda, pluripremiato, che prende il nome dal blend dei quattro vitigni internazionali che lo compongono (Shiraz, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot). Dietro a questo nome si cela in realtà anche un aneddoto storico, che prontamente Fabrizio ci racconta:” A Marino, paese di origine della mia famiglia, vi è la famosa fontana dei quattro mori, dalla quale esce il vino durante la sagra dell’uva. Il motivo per cui questa fontana fu chiamata così è storico e molto importante. I mori erano dei prigionieri del principe Marcantonio Colonna, uno dei condottieri dell’esercito Cristiano che il 7 ottobre del 1571 a Lepanto, sconfisse l’armata degli ottomani (turchi). Così Marcantonio Colonna decise di portare in patria i prigionieri turchi, a dimostrazione della vittoria ottenuta, che addirittura sfilarono tra le strade di Marino. Fu così che nell’800, come piccolo tributo di Marino alla storica vittoria di Lepanto, fu costruita questa fontana commemorativa, che sicuramente è anche arricchita da una profonda connessione con il vino”.

La produzione si chiude con i due vini da dessert: il “Rosathea” – un sentore, quello della rosa, che infatti caratterizza il vino – Moscato rosa che però, per questioni legate alla maturazione delle uve, è caratterizzato da un colore rosso; il “Muffa nobile”, un muffato – così chiamato poiché l’uva utilizzata per la sua produzione viene attaccata in vigna dalla Botrytis cinerea (per questo i vini vengono anche detti “botritizzati”), un particolare ceppo di muffa grigia nota anche con il nome di “muffa nobile”- che nulla ha da invidiare ai suoi cugini francesi o ungheresi, composto da un blend di Semillon e Sauvignon Blanc. Due vini dolci assolutamente non stucchevoli, conseguenza dello shock termico subito in cantina, dal quale si ottiene un vino caratterizzato dalla giusta qualità di alcol e da uno zucchero naturale. Senza le giuste attrezzature di cantina, ovviamente questo non potrebbe verificarsi.


L’etichetta di Umberto Mastroianni: espressione della profonda connessione tra enologia e cultura

Anche l’etichetta ha una storia molto interessante, che sicuramente vale la pena raccontare. Il disegno che la contraddistingue, che appare oggi stilizzato in seguito ad un restyling, è opera del pittore e sculture del
900’ Italiano, Umberto Mastroianni, zio di Marcello, che negli ultimi 20 anni della sua vita visse a Marino.
Un’artista del Lazio, con un’esperienza internazionale, a cui Giulio Santarelli commissionò questa etichetta.
Inizialmente un po’ scettico, Mastroianni alla fine si convinse, grazie ad un libro di etichette francesi realizzate da artisti famigerati che gli fu mostrato all’epoca da Attilio Scienza. Così, nasce il bacco gioioso
che gioca con l’uva, firmato da Umberto Mastroianni, e che ancora oggi appare su tutte le etichette dell’azienda Castel De Paolis, creando un connubio decisamente interessante tra vino, arte e cultura.
Tramandare la memoria scritta di quello che è stato, per un futuro migliore dell’enologia locale Prima Giulio, poi Fabrizio, ora animato anche dallo spirito di gruppo dei Vignaioli in Grottaferrata, hanno sempre mostrato un impegno sicuramente degno di nota nella valorizzazione e nella promozione del territorio, al fine di conferire ai prodotti di queste terre il lustro che meritano, raggiungendo con dedizione ottimi risultati. Giulio santarelli, nel suo libro “La viticoltura a Roma e nei Castelli Romani – origini, sviluppo, declino, idee per la rinascita”, edito da Pieraldo editore nel 2013 ed arricchito dalla preziosa prefazione di
Attilio Scienza, scrive: “I testi consultati di autorevoli esperti e storici della materia evidenziano le origini, i livelli di qualità, l’apprezzamento in Italia e in Europa a partire dall’alto medioevo, il primato conquistato in Italia alla fine dell’ottocento, l’epoca e le cause che determinarono la perdita della qualità, l’inizio della crisi, la pervicace
ottusità con cui si continua a difendere un sistema che produce povertà e abbondono. Il libro rappresenta, perciò, una riflessione a tutto campo e vuole essere un campanello di allarme per i disastri in atto che stanno trasformando in modo irreparabile il profilo paesaggistico e la stessa identità storicamente definita dei Castelli Romani. È un breviario soprattutto per le giovani generazioni e per chi ha la responsabilità di
governo nei comuni e nella regione. La profondità del distacco della politica e delle istituzioni dai bisogni del popolo non è più tollerabile, obbliga tutti a cambiare registro e a operare per difendere l’ambiente, l’agricoltura e il paesaggio. Per i vini di questi meravigliosi colli il XX è stato il secolo della crisi. Il XXI sia il secolo della rinascita”.

Leggi gli altri Racconti Enologici

Più informazioni
commenta