CRONACA

E’ già libero Genovese, il giovane che uccise due 16enni a Roma. Da Velletri la solidarietà dei genitori di Lavinia: “Dov’è la giustizia?”

Lavinia e Gaia

Quattro giorni di carcere, oltre ad 1 anno e 7 mesi di arresti domiciliari: questo è quanto ha scontato Pietro Genovese, il giovane accusato di omicidio stradale plurimo per la morte di Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli, venute a mancare nel dicembre del 2019, ad appena 16 anni.

Le due giovani vennero falciate a Ponte Milvio, investite ed uccise poco dopo l’una di notte mentre stavano attraversando Corso Francia per raggiungere un gruppo di amici.

Alla guida della Renault che travolse le due minorenni, morte sul colpo, si trovava Pietro Genovese, di 20 anni, figlio del regista Paolo.

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Gaia e Camilla sono morte a Roma nel 2019

Dal 21 ottobre Pietro Genovese, che venne inizialmente condannato ad 8 anni di reclusione per omicidio stradale, è un uomo libero. Il giovane non ha infatti più misure restrittive a suo carico e i giudici della Corte d’Appello, così come previsto dalla legge per le sentenza passate in giudicato, hanno eliminato la misura dell’obbligo di dimora che gravava dall’8 luglio scorso, giorno in cui la condanna a 5 anni e quattro mesi è passata in giudicato dopo la ratifica del concordato in secondo grado. Genovese deve attendere ora il Tribunale di Sorveglianza che dovrà decidere su come fare scontare il residuo pena, circa 3 anni e 7 mesi. Non è escluso che il giovane possa essere affidato ai servizi sociali.

La famiglia di Camilla, tramite il legale Cesare Piraino, si augura che “il Tribunale di Sorveglianza valuti con serenità, serietà e rigore l’istanza di affidamento al servizio sociale allargato che proporrà il condannato”.
In primo grado Genovese venne condannato ad 8 anni di carcere. Nelle motivazioni di quella sentenza il gup Gaspare Sturzo aveva ricostruito quanto avvenuto quella tragica notte a Corso Francia quando Gaia e Camilla, di ritorno a casa da una serata per festeggiare l’inizio delle vacanze di Natale, furono falciate dall’auto di Genovese impegnato, sostenne il giudice, in una gara di sorpassi.

Le due studentesse non avevano fatto nessun azzardo nè la loro condotta aveva messo a repentaglio la loro incolumità: stavano infatti attraversando sulle strisce, dopo che il semaforo pedonale era diventato verde. Un comportamento irreprensibile che però non fu sufficiente a salvarle dalla morte, dal violento impatto con l’auto guidata da Genovese che le ha centrate uccidendole sul colpo.

Il gup definiva “assai elevato il grado di colpa dell’imputato, sotto il profilo del quantum di evitabilità dell’evento, essendo l’incidente frutto anche di una negligente scelta di mettersi alla guida dopo aver fatto uso di alcol, pur sapendo che era obbligato a non bere qualora avesse voluto condurre un’auto, secondo la sua età e per il tempo in cui aveva preso la patente”.

Perizie e accertamenti, ratificati dal dibattimento processuale, evidenziarono che il ventenne investì le due ragazze mentre erano “sulle strisce pedonali, nel tratto della terza corsia di sinistra di Corso Francia, e dopo che queste avevano iniziato l’attraversamento con il verde pedonale ma si erano fermate per aver notato alla loro sinistra provenire dal precedente semaforo ad alta velocità tre auto impegnate, di fatto in una gara di sorpassi, che non accennavano a rallentare”. Il giudice infatti sostenne nella sentenza di primo grado che l’imputato, prima del tragico impatto, aveva “effettuato una serie di sorpassi utilizzando al contempo un cellulare con cui mandava messaggi; superando il limite di velocità in ora notturna; iniziando un ultimo sorpasso di un’auto che aveva cominciato a frenare e, poi, si era fermata”. Un sorpasso terminato in una tragedia.

Non sono mancate le reazioni, in questi giorni, come quella di Alberto Pallotti, presidente dell’associazione familiari e vittime della strada Aifvs Odv: “Quello che è il senso molto grave di questa tragedia emblematica di quello che succede sulle nostre strade, è che qua abbiamo due ragazzine investite sulle strisce pedonali – continua Pallotti – e si è provato in ogni modo a far passare le vittime come colpevoli; quando non ci si è riusciti, si è sfruttata la legge, la lentezza, l’incapacità della giustizia di avere un volto umano. Questi sono i risultati. Una giustizia che non tiene conto della sofferenza delle vittime. Non mi meraviglio che il padre di Gaia dica che Pietro Genovese non si è pentito, perché il percorso non è stato fatto. Anche noi siamo convinti che non sia pentito e la giustizia esce sconfitta per l’ennesima volta. Abbiamo provato a farla applicare, purtroppo questi sono i risultati”.

Immediata la reazione dell’avvocato Walter Rapattoni, che ha rappresentato l’associazione come parte civile nel processo: “La decisione lascia l’amaro in bocca, anche se a livello procedurale è stata applicata la legge con sentenza definitiva e pena residuale sotto un certo tipo di anni. Questa è la procedura. Noi ci siamo battuti tanto nel processo per due ragazze che non ci sono più. Dobbiamo continuare sempre a lottare per evitare questi esiti, certo per chi si è battuto tanto resta l’amarezza”.

Sul caso si è espresso anche Massimo Montebove, il papà della piccola Lavinia, la bimba di Velletri, che il 7 agosto del 2018 rimase gravemente ferita presso l’asilo nido “La fattoria di mamma Cocca”, travolta da una Bmw, e da allora vive in stato vegetativo, senza alcuna possibilità di tornare ad una vita normale.

Lavinia e Gaia
La piccola Lavinia e Gaia

“Mi chiedo, da cittadino e da genitore, se in Italia esista davvero la giustizia – ha commentato Montebove -. La scrivo volutamente con la g minuscola. Perché evidentemente aver spezzato giovani vite come quella di Gaia Von Freymann – investita e uccisa a Roma nel dicembre 2019 assieme a Camilla Romagnoli – e di mia figlia Lavinia Montebove, condannata senza possibilità di prescrizione a una vita in stato vegetativo, dopo essere stata “dimenticata” nel parcheggio dell’asilo e messa sotto da un’auto, non basta per avere giustizia.

Ringrazio Gabriella Saracino, mamma di Gaia, per la sua vicinanza. Ho cercato di fare altrettanto con lei. Tra noi possiamo solo capirci. Lei piange una figlia che non ha più mentre il suo investitore, rampollo di un noto regista, non ha sostanzialmente fatto in giorno di galera e oggi si ritrova in libertà. Io invece assieme alla mia compagna Lara Liotta combatto perché il processo alla maestra accusata di abbandono di minore non vada in prescrizione.

Temo che, anche nel nostro caso, alla fine non pagherà nessuno. L’unica condanna è quella che hanno ricevuto Gaia, Camilla e Lavinia. Assieme alle loro famiglie. Ad oggi è questa la sola certezza”, ha concluso Massimo Montebove.

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