La nuova rubrica sui dialetti

Il Dialetto nei Castelli Romani: tra le curiosità di un vero e proprio ginepraio linguistico

Generico ottobre 2021

Quando si parla di Castelli Romani si pensa immediatamente alla tradizione del buon vino e del cibo, al clima fresco e salubre che attira tanti romani nella stagione estiva, alle ville storiche, ai borghi medievali e all’inestimabile patrimonio naturalistico.

Sono pochi, però, quelli che riconoscono e valorizzano la ricchezza linguistica dei sedici comuni del nostro territorio: solo gli addetti ai lavori, linguisti e dialettologi, si sono interessati nel tempo a questo ginepraio linguistico, mentre tra la gente comune il dialetto non è nulla più che folklore, quando non addirittura un sinonimo di ignoranza che veicola inevitabilmente lo stigma di “burino” su chi lo parla. L’equazione secolare su cui si fonda questo pregiudizio è molto semplice: l’italiano è la lingua delle persone colte, che hanno studiato e raggiunto prestigio sociale, il dialetto invece lo parlano gli ignoranti e le classi subalterne.

Un modo di pensare vieto e snob che ancora resiste nella società odierna, ignara del fatto che tanto l’italiano quanto i dialetti appartengono alla nostra cultura e la conoscenza dell’uno non esclude gli altri, anzi è fonte di arricchimento. In tal senso, estremamente calzante è stata la splendida metafora coniata da Andrea Camilleri: “se l’albero è la lingua, i dialetti sono stati nel tempo la linfa di questo albero”. D’altronde, la stessa lingua italiana è figlia di un dialetto che ce l’ha fatta, il fiorentino, ed è sorella degli altri innumerevoli dialetti italiani che “non sono modi sbagliati di parlare l’italiano, come nella tradizione scolastica qualche volta si è pensato e insegnato – ha scritto Tullio De Mauro nel dialogo con Camilleri – sono altri modi di parlare continuando l’antico latino, con le loro regole, il loro vocabolario, la loro sintassi, con degli obblighi e delle libertà che l’italiano ignora”.

Per avvicinare questo concetto alla realtà dialettale dei Castelli Romani, si pensi a quante volte abbiamo sentito quella caratteristica -u finale tipica ad esempio del roccapriorese, del rocchigiano, del monticiano o del frascatano, come pure del genzanese: ebbene, quella -u altro non è che una diretta eredità della seconda declinazione latina, per l’esattezza della desinenza dell’accusativo -UM, ancora oggi conservata nei cosiddetti dialetti mediani e più in generale centromeridionali di cui le nostre parlate fanno parte.

Latino che ritroviamo abbondantemente nel lessico dei nostri dialetti e il vento gelido in arrivo ne suggerisce un esempio affascinante: la strìna, ovvero la tramontana. Una parola curiosa, presente anche in altri dialetti centro-settentrionali, riconducibile secondo Boscherini al latino austrinatio, un termine assente nel lessico latino ma usato in alcuni passi della traduzione pregregoriana della Genesi e del Deuteronomio come corrispettivo del greco anemophthorìa, il vento freddo nefasto per gli uomini.   

Negli articoli di questa rubrica cercheremo di scoprire o riscoprire i nostri dialetti, tenendo sempre presente che il patrimonio linguistico di un popolo possiede in sé una ricchezza enorme, in quanto custode della tradizione e della cultura di ciascun paese. Una ricchezza che nel nostro caso è anche numerica, al punto che gli ultimi studi condotti da Luca Lorenzetti hanno portato a riconoscere la presenza di ben sei gruppi dialettali differenti nei nostri sedici comuni, cui si aggiunge anche l’isola alloglotta di Monte Porzio Catone.

In nessun modo si può parlare di un tipo linguistico “castellano”, per il semplice fatto che non ne esiste uno, ma dovremo di volta in volta tener presente un panorama dialettale costituito da sei sub-aree molto diverse tra loro: i dialetti albani (Albano, Ariccia, Castel Gandolfo); i dialetti occidentali (Genzano, Lanuvio); quelli nordoccidentali (Marino, Grottaferrata); i dialetti interni (Rocca di Papa, Nemi); quelli nordorientali (Rocca Priora, Monte Compatri, Colonna, Frascati) e infine i dialetti velletrani (Velletri, Lariano).

a cura di Elena Campolongo

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