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L’INTERVISTA A SERGIO IERACE – “Violenza sulle donne, come difendersi”. Parla il Comandante Polizia Locale di Lanuvio

Sergio Ierace Polizia Locale

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne abbiamo incontrato Sergio Ierace, Comandante della Polizia locale del comune di Lanuvio e referente per il Centro Antiviolenza della Provincia di Roma dal 2010 al 2014, approfondendo con lui il tema degli abusi e maltrattamenti.

La normativa sul “Codice Rosso” ha introdotto una corsia preferenziale per le denunce e le indagini sui casi di violenza. Molte le novità introdotte che segnano un passo avanti. Resta ancora da fare qualcosa?

“Si è vero nel tempo le cose sono man mano cambiate e migliorate grazie alla ricezione nel nostro codice di norme, anche europee, che hanno apportato innovazioni e tentato di affrontare le diverse criticità. Il “Codice Rosso” è solo l’ultima delle norme che sono andate nel tempo ad integrare il reato specifico di Stalking introdotto nel 2009, reato che si è aggiunto a quello dei maltrattamenti in famiglia.
Il percorso, iniziato appunto nel 2009, si sviluppato dapprima nel 2013, con la cosiddetta “Legge sul femminicidio”, e successivamente nel 2019 con le “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia delle vittime di violenza domestica e di genere”, cosiddetto “Codice Rosso”.

Di fatto con il “Codice Rosso” si è cercato di dare un impulso alla trattazione del reato, ciò al fine di velocizzare l’impianto procedimentale e conseguentemente migliorare la tutela delle donne vittime di violenza.
Ha anche introdotto nuovi reati e modificato le misure cautelari e di prevenzioni, che possono ora essere attuate nei confronti dei rei in modo più incisivo, accrescendo altresì le sanzioni che erano già previste dal codice penale, nonché aumentando il termine per la persona offesa di sporgere querela, passando dai precedenti 6 mesi agli attuali 12 mesi”.

A che punto siamo?

“Sicuramente c’è ancora molto da fare, in particolare con rifermento alla formazione. Mi spiego, i reati trattati spesso vengono associati ad altri che ne integrano la fattispecie come le lesioni, i tentati omicidi ecc.; spesso però tali reati non vengono letti come una conseguenza del reato principale, ma sono trattati come epilogo di un fatto. Ciò richiede una formazione del personale che si occupa e che non si occupa di tale fenomeno”.

Quali sono le criticità esistenti?

“Le vittime si rivolgono alla Polizia Giudiziaria nel momento in cui le stesse ne sentono il bisogno, cioè l’evento scatenante che le fanno decidere di rivolgersi alla Polizia arriva nelle stesse non sempre quando a riceverle vi è il collega preparato, ma magari quando il collega preparato ha altre cose in corso o non è presente e, a dedicarsi alla vittima, vi è altro collega che si cimenta sicuramente correttamente con la materia ma non ha magari gli strumenti per poter far veramente bene. Ciò potrebbe far perdere l’attimo, cioè quel momento in cui la vittima è predisposta a dire tutto quello che ha sofferto e tutto quello che subito, attimo che anche il “Codice Rosso” tenta di affrontare ma che per quanto detto prima a volte sfugge. Così come appare inadeguato ciò che viene messo in campo da altre strutture che potrebbero fare da “sensori” a tali violenze, facendole lavorare, unitamente alla Polizia, in modo coordinato e maggiore sulla prevenzione”.

Come si potrebbe ovviare?

“La norma prevede proprio di velocizzare tali meccanismi, ma ancora non tutti siamo adeguatamente strutturati a farlo. Vi sono sicuramente strutture specializzate che sono adeguatamente organizzate e il cui personale è correttamente formato, ma ancora troppe sono le strutture da adeguare. In più, come già prima accennato, bisogna lavorare molto di più sulla prevenzione, non solo intesa come informazione, ma anche con tecniche diverse che potrebbero essere assunte per far si che si arrivi nei teatri familiari in cui si consumano le violenze, affinché sia possibile interromperli prima ancora che gli stessi siano commessi in modo grave, così come purtroppo spesso abbiamo avuto modo di conoscere dalla cronache”.

Quali i rischi e le lacune ancora non colmate dalla nuova normativa?

“Le norme alla fine anche in precedenza, se ben riferite ed adeguatamente provate, hanno sempre dato dei buoni risultati, quindi non parlerei di lacune ma di ulteriori adeguamenti delle stesse che possano aumentare l’incisività nella fase preventiva, ciò al fine di dotare le Polizie di strumenti più efficaci di contrasto sin dall’inizio delle pratiche attuate dal reo nei confronti della vittima e della propria famiglia.

In passato ho avuto modo di lavorare nel 2012 nella ricerca europea denominata “Daphne III” condotta dall’università degli studi di Roma Tre, con le università di Cipro, Italia, Romania e Slovacchia. Esperienza che ha portato alla creazione di corsi per le insegnati volti a sensibilizzare le stesse alla rilevazione di quei “campanelli di allarme” che potrebbero essere trasmessi dagli alunni nelle scuole, quali indicatori di un disagio familiare che sia accostabile alla violenza in ambito familiare”.

“Nel 2019 presso la Procura di Velletri nell’attuazione del “Protocollo interistituzionale” – con cui ho avuto il piacere di collaborare dal 2019 al 2020 – il Pubblico Ministero Dr.ssa Cristiana Macchiusi intraprese una strada volta a scoprire il sommerso nelle violenze familiari, prendendo spunto dalle segnalazioni dei servizi sociali con il coinvolgimento delle Polizie Locali del territorio; strada sicuramente tutta in salita, ma che potrebbe dare nuovi risultati alle attività di prevenzione.

Tali iniziative dovrebbero essere maggiormente sponsorizzate, senza campanilismi o strumentalizzazioni, perché per affrontare una tematica così profonda quale è quella delle violenza domestica, le forze in campo sono alla fine sempre poche e per ottenere risultati c’è bisogno della forza di tutti”.

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