Lettera al direttore

Sanità

“Nostra madre è morta così, attenzione al virus dell’insensibilità”: la testimonianza delle figlie di una paziente dell’Ospedale dei Castelli

Ospedale dei Castelli 1

Ospitiamo la toccante e umanamente drammatica lettera che due sorelle di Cecchina, dalla frazione di Albano, hanno inviato al Direttore Sanitario dell’Ospedale dei Castelli di Ariccia, affrante dal dolore per la perdita della propria madre dopo un periodo di ricovero presso il reparto di Medicina.

“Ciò che abbiamo vissuto – dicono – durante questo tempo di degenza non vogliamo augurarlo a nessuno. La frustrazione, l’angoscia e la rabbia provata ci ha spinto a scrivere una lettera, che è stata inviata al direttore sanitario del Noc e per conoscenza al direttore sanitario dell’Asl Rm6, al dirigente sanitario del reparto di medicina generale e alla coordinatrice infermieristica del suddetto”.

La pubblicazione non intende mettere la croce addosso ad un personale medico sanitario sottoposto ormai da 2 anni a dei ritmi di lavoro certamente duri, a causa di un’emergenza pandemica che sta mettendo a dura prova l’intero settore e di fronte alla quale il NOC ha provato sin da subito, riuscendoci, a reagire al meglio delle proprie forze. Tuttavia emerge lo spaccato di un momento storico certamente drammatico dal punto di vista sociale, viste le note restrizioni causate dai rigidi protocolli anti-Covid.

IL TESTO DELLA LETTERA

Caro Direttore,

Le voglio raccontare una storia, quella di una famiglia come tante, che ha dovuto affrontare la prova dura e dolorosa della perdita di una persona cara dopo un periodo di degenza nell’ospedale da Lei diretto.
È una storia di sofferenza, di frustrazione, di avvilimento, di rabbia, di costernazione e di indignazione.

Il Covid ha cambiato molte cose, questo lo sappiamo tutti. Ha cambiato la gestione della malattia, del ricovero, dei rapporti con i pazienti e con i loro familiari. Ne siamo coscienti e, con senso di responsabilità, abbiamo accettato le restrizioni e le indicazioni per il bene collettivo.

Ma questo non giustifica però certi comportamenti che, in questo momento così pesante per tutti, rendono ancora più difficile la prova, la malattia, l’accettazione della morte a cui si giunge, spesso, nella completa solitudine e nello sconforto.

Non giustifica il fatto che nel vostro reparto di medicina non sia possibile avere notizia dei propri cari ricoverati, perché quando si telefona a uno dei ben quattro numeri che, gentilmente, ci vengono consegnati all’accoglienza, nessuno risponde mai. Ma proprio mai, a qualsivoglia ora del giorno.
Scopriamo che è una “direttiva interna” il non rispondere alle chiamate esterne. Assurdo! Ma scopriamo che anche chiamando dall’interno, cioè dalla prima accoglienza dell’ospedale, non si ha risposta.

Abbiamo attraversato, per questo motivo, un momento di disperazione totale quando, improvvisamente, nostra mamma, ricoverata nel vostro ospedale, nel suddetto reparto di medicina, aveva smesso di rispondere al suo cellulare, a cui aveva risposto fino alla sera precedente. Il tentativo di avere notizie si è rivelato infruttuoso, per le ragioni già esposte.

Abbiamo scoperto, in seguito, che c’era stato un aggravamento delle sue condizioni e nessuno ci aveva avvisato. Solo dopo esserci presentati in ospedale abbiamo potuto accedere alle informazioni sulla sua condizione di salute dopo numerose chiamate in reparto, nell’ansia, nell’angoscia, nella frustrazione.

Penso che sia un’assoluta mancanza di rispetto dei diritti del malato e dei suoi familiari. Penso che quello di cui dovremmo preoccuparci è il dilagare di un altro tipo di virus, che uccide l’essere umano più del Covid.

È il virus dell’indifferenza, dell’insensibilità, della disumanità, della perdita delle motivazioni profonde che dovrebbero spingere un medico a fare il medico: la cura della persona, il sollievo dalla sofferenza, la promozione della vita nella sua dignità!

Il Covid ha creato distanze, ma noi forse stiamo creando altre voragini dolorose che potrebbero essere evitate.

Non credo che non rispondere alle chiamate in reparto possa contribuire a fermare la diffusione del Covid. Ma sono sicura del male che fa. A me come essere umano, a quelli come mia mamma che affrontano la malattia e la morte da soli, a quei medici e operatori sanitari che credono veramente nella professione a cui hanno scelto di dedicare se stessi.

Mi auguro che Lei possa prendere atto di questa situazione vergognosa e dolorosa e avviare dei provvedimenti adeguati perché altri, dopo di noi, non debbano subire questa violenza psicologica che il Covid e nient’altro può rendere legittima!”.

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