Politica

Discarica di Albano, intervista al presidente Cacciatore: “Chiuderla si può, anzi si deve”

Marco Cacciatore Parco

Parole precise, concrete e mirate, quelle del consigliere regionale del Lazio, Marco Cacciatore, che conosce bene la realtà della discarica di Roncigliano. In questa intervista, il presidente della commissione Rifiuti, dice la sua sulla proroga della ordinanza del sito di Roncigliano, sul ruolo dei sindaci Gualtieri e Borelli, sulle carenze del ciclo rifiuti a Roma e su cosa fare per risolverle.

Presidente Cacciatore, una domanda facile facile: si aspettava questa ordinanza di proroga sulla discarica di Roncigliano? Cosa avrebbe potuto fare in alternativa Gualtieri, a suo giudizio?
“No sinceramente, anche perché per la lettura che ne do io lo stesso Testo Unico Ambientale stabilisce una durata massima di quel tipo di ordinanza di 120 giorni. Città Metropolitana, come tutte le province, sarebbe il caso procedesse all’individuazione dei siti idonei e non idonei e, sulla base delle distanze stabilite dal piano rifiuti regionale e ai sensi della legge regionale sui rifiuti, individui quali impianti vanno nei siti individuati idonei”.

Come si esterna sotto i vari punti di vista la sua contrarietà alla apertura della discarica?
“Sin da quando furono concesse le volture delle autorizzazioni di discarica e ex-tmb, secondo me almeno una delle quali scaduta, ho prodotto diversi atti in contrasto alla soluzione che poi si è materializzato con la vergognosa ordinanza Raggi, oggi prorogata. In particolare, da allora: due lettere al prefetto, 3 Interrogazioni, 2 audizioni ad hoc in commissione e coinvolgimento in altre due, segnalazioni ad arpa a fronte dei sopralluoghi e un esposto in procura sui conferimenti che per me sono evidentemente difformi”.

A suo giudizio, il comune di Albano ha gli strumenti amministrativi per opporsi alla ordinanza Raggi/Gualtieri?
“Sì. Intanto la stessa ordinanza di Città Metropolitana può essere emessa dai comuni territorialmente competenti e dalla Regione. Se si ritiene ci siano gli estremi per la configurazione di un pericolo a sicurezza e salute dei cittadini, si può usare anche lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente ai sensi del tuel. E mi pare gli estremi ci siano. Inoltre il Comune può richiedere alla regione l’istituzione dell’area a rischio ambientale, secondo il dispositivo di una legge regionale a mia prima firma che comporterebbe stop a nuovi insediamenti e riconduzione dello stato di fatto al di sotto dei livelli di rischio. Tutti gli organi dovevano fare di più, ma credo che il tilt più grave stia nel fatto che il piano regionale rifiuti non trovi vera attuazione. Durante la sua approvazione fui in prima linea per chiedere e ottenere che Roma fosse chiamata a rispettare l’autosufficienza nel proprio territorio per il trattamento e smaltimento dei rifiuti prodotti dai cittadini capitolini, senza per converso ospitare più conferimenti di altri comuni. Se la regione, nonostante l’approvazione di un piano regionale che mancava da anni, non torna pienamente in possesso delle proprie prerogative, secondo me il cambio di passo non avverrà mai”.

La questione Roncigliano è solo la punta dell’iceberg di una chiusura del ciclo rifiuti che a Roma fatica a materializzarsi. Quali le soluzioni, secondo lei?
“Innanzitutto aumentare la raccolta differenziata, partendo dalla frazione organica: solo questa misura porterebbe quasi a dimezzare l’indifferenziato e lo smaltimento degli scarti in discarica. Poi si dovrà trattare l’organico e, attuando i principi e la gerarchia dei trattamenti stabiliti da legge, trattamento aerobico prima del recupero energetico: necessari 20 impianti intorno al GRA, minimizzati per dimensioni e impatto ma diffusi sul territorio, insieme alle iniziative sul compostaggio domestico e l’autocompostaggio delle attività produttive – che non richiede autorizzazioni – fino al compostaggio di prossimità o locale e di comunità – soggetti a procedure più che semplificate. Residuerebbe un indifferenziato senza frazione organica, molto meno impattante oltre che di mole ridotta, che chiuderebbe il ciclo con 6 impianti di recupero materia (che non producono più combustibile per incenerimento ma rigeneranti materie prime seconde dai rifiuti) e relativa discarica di servizio. Non per posizioni ideologiche, ma per percorribilità, coperture di costi e risparmi conseguiti, vivibilità dei territori e riduzione dei conflitti con la società civile, nonché per rispetto delle norme e dei principi UE, non mi risulta ci siano alternative a questa impostazione. Di certo chi pensa che la soluzione sia ampliare inceneritori e insediare impianti monster e privati, si colloca in continuità con quanto fatto fino a oggi: non è in linea col quadro normativo, non è economicamente conveniente se non per i pochi gestori privati che puntano grandi moli di rifiuti indifferenziati da conferire in discarica o incenerire, non è assolutamente al passo coi tempi”.

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