L'evento

Velletri – Orchestra del Paese Immobile, Matteo Scannicchio sull’incontro con le poesie di Roberto Zaccagnini: “Serata magica!”

Il primo concerto dell'Orchestra del Paese Immobile, progetto che unisce musica, poesia e tradizione culturale veliterna cofondato da Matteo Scannicchio e Roberto Zaccagnini, autore delle poesie trasformate in canzoni, è andato in scena per la prima volta al Teatro Artemisio

Orchestra del paese immobile

Il primo concerto dell’Orchestra del Paese Immobile, progetto che unisce musica, poesia e tradizione culturale veliterna cofondato da Matteo Scannicchio e Roberto Zaccagnini, autore delle poesie trasformate in canzoni, è andato in scena per la prima volta al Teatro Artemisio “Gian Maria Volontè” di Velletri, nella serata di sabato 19 marzo, di fronte a un pubblico gremito e partecipe. Il coinvolgimento da parte di tutti, – musicisti, tecnici e spettatori – , è stato totale.

Erano tutti emozionati quanto noi sul palco”, ha dichiarato il musicista e compositore veliterno Matteo Scannicchio ai nostri microfoni: “Nessuno di noi stava partecipando a qualcosa, ma eravamo tutti parte di qualcosa. C’era una grande sinergia. Sembrava che non ci fosse differenza tra palco e platea o galleria, sembrava che fossimo tutti nella stessa piazza. Aveva il sapore di una festa, di una serata tra amici”.

Ogni elemento ha contribuito a creare un’atmosfera al confine tra realtà e fantasia fortemente legata alla cultura popolare del territorio di Velletri in cui tutti si sono ritrovati. Nelle parole di Scannicchio: “Era tutto un cerchio incredibile: le luci, il pubblico, la musica, le poesie, l’albero di Sergio…”

La creazione di Sergio Gotti, una meravigliosa scultura raffigurante un albero chiamata “Ri-generazione”, ha costituito l’elemento fondamentale della scenografia e della messa in scena dello spettacolo. Sia la sua estetica che il suo significato si sono infatti sposate perfettamente con il progetto dell’Orchestra del Paese Immobile. In quella scultura, Matteo Scannicchio ha trovato il suo “pezzo mancante”, il tassello finale del suo puzzle di meraviglie: “l’albero sul palco dava l’idea di come ci possano essere mille modi, tra cui il nostro, di re-interpretare il dialetto”.

Un dialetto, il velletrano, di cui nessuno, prima di Scannicchio, aveva notato l’intrinseca musicalità. L’incontro con le poesie di Roberto Zaccagnini avvenne per caso, grazie al suggerimento di un amico del musicista che gli inviò una poesia di Zaccagnini dai toni scanzonati, la storiella di un macellaio che era solito truccare il peso della carne inserendo della carta all’interno degli involucri per ottenere un guadagno maggiore. Lo stile poetico di Zaccagnini e la sua capacità di utilizzare il dialetto in modo creativo suscitarono la curiosità di Matteo Scannicchio, che iniziò ad interessarsi ad altre sue opere e infine ebbe l’idea di trasformare in canzoni le sue poesie: “Andai in libreria da Roberto, – racconta il musicista, – mi presentai e gli dissi che ero un compositore e che volevo musicare le sue poesie. Lui, con la pipa in bocca, mi rispose «fa un po’ come cazzo te pare» (sic)”. Scannicchio lo prese per un sì, e il resto ormai è storia.

Il concerto è stato aperto con il pezzo “Certe specie di rumore“, una poesia musicata che descrive il modo in cui i suoni dell’ambiente esterno, “i rumori della natura, delle macchine, delle persone, della città e della campagna”, finiscano per creare “un ritmo, una cadenza” nella vita dell’individuo. Poi, insieme al coro, è stato eseguito il brano “E’ scalette di’ i struppi“, che narra la storia delle scale di Via Marconi, costruite dai soldati deportati dell’Impero austroungarico durante la prima guerra mondiale. Una canzone, questa, “con un andamento solenne, che sembra quasi una marcia” e in cui possiamo immedesimarci soprattutto in questo periodo: “A distanza di 103 anni la storia ritorna. Nel 1918 noi ci trovavamo con una pandemia, la spagnola, e una guerra in corso. Dopo 103 anni ci ritroviamo in una situazione che per certi versi è simile. Sicuramente, la musica, così come tutte le arti in generale, può essere quella piccola barca che ogni tanto ti riesce a portare fuori dalla tempesta”.

Il pezzo successivo, “Quiete in famiglia”, che narra un diverbio realmente accaduto tra due coniugi che Roberto Zaccagnini ha ascoltato e trasformato in poesia, è servito per alleggerire nuovamente i toni attraverso il racconto di una vicenda umana “in cui si sono riconosciuti in molti”. Poi è stato il momento di “Come finisce l’incantesimo”, un brano dedicato al rapporto tra l’uomo e la natura. Isolandosi nella campagna, l’uomo raggiunge una “sensazione quasi di trascendenza, di estasi”, ma questa magia “svanisce in fretta con il ritorno alla vita quotidiana”. Nelle parole di Scannicchio, si tratta di “un inno a una vita più calma, più in sintonia con la natura dell’uomo e con il pianeta terra”. Una seconda parentesi umoristica è stata “Vedi si tte capisce (Enzo Mangascià)”, ispirata a una leggenda popolare sull’amore sfortunato di un uomo per la cortigiana Claudilla, che finì per tradirlo con un gorilla. Alla storiella ha fatto seguito uno dei dei momenti clou della serata, l’esecuzione di “Microbo o moschino”, un brano che rappresenta un po’ l’essenza della poetica e della personalità di Roberto Zaccagnini e del quale era stato già pubblicato il videoclip, realizzato in collaborazione con tre giovani veliterni di talento, Gabriele Priori, Leonardo Pellicone e Alvaro Cecchetti (Alvaanq), che ne hanno curato rispettivamente i disegni, le animazioni e la direzione artistica.

Poi sono venute a tutti le lacrime agli occhi con ” ‘O giro a camposanto”, una poesia musicata di Zaccagnini nella quale l’autore percorre un luogo, il cimitero, che con il passare degli anni si riempe sempre più di “volti conosciuti”. Si tratta di una riflessione malinconica “sull’esistenza e sulla natura umana”, sul ciclo della vita che ha un inizio e inevitabilmente anche una fine.

Sul finale, è salita sul palco la banda cittadina Umberto Cavola di Velletri che ha eseguito “a sorpresa” un arrangiamento dei brani più amati delle colonne sonore dei film di Alberto Sordi che hanno accompagnato l’entrata in scena di Roberto Zaccagnini, vestito elegante ed “emozionatissimo”. Successivamente, Augusto Pallocca ha interpretato in chiave rap la poesia “Callo de maggio”, e questa per Matteo Scannicchio è stata “la più grande scommessa”: “Fare un rap in dialetto velletrano sembrava una cosa impossibile fino a qualche tempo fa e invece siamo riusciti a farlo e c’era tutto il teatro che ballava e saltava”, spiega il compositore. Il concerto è stato chiuso con “Indico”, che nelle parole di Scannicchio è “il cuore pulsante del progetto”. L’indico è un folletto, “uno spirito maligno che disturba le notti delle persone”, una creatura fantastica, questa, “presente nelle leggende di tutta Italia e anche in tanti Paesi del mondo, in forme diverse”. Quest’ultimo brano è stato accompagnato da una seconda opera dello scultore Sergio Gotti che raffigura proprio un indico.

Il grande interesse dei veliterni nei confronti di questo primo evento, sold out fin da martedì, così come i numerosi messaggi entusiasti e pieni di emozione che Zaccagnini e gli altri professionisti e appassionati che hanno partecipato all’organizzazione del concerto hanno ricevuto nelle ore successive allo spettacolo, sono una dimostrazione della bontà dell’idea di partenza: “La cosa che mi ha emozionato di più è che da ieri mi continuano ad arrivare messaggi di persone che si sentono più orgogliose di appartenere a questa città. Questo per noi ha un valore inestimabile”, ha affermato commosso Scannicchio.

Il progetto, che prende il nome da una citazione tratta da un libro in cui Roberto Zaccagnini raccontava la sua adolescenza negli anni della contestazione giovanile che era piaciuta molto al compositore Matteo Scannicchio, è una fortunata congiunzione tra generazioni e arti diverse, ma anche tra differenti background etnici e culturali: “La cosa bella è che i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato a questa iniziativa provengono da diverse parti d’Italia e del mondo, ma abitiamo tutti qui a Velletri e siamo legati a questo territorio”. 

“Velletri è più avanti di quello che pensiamo, – sottolinea Scannicchio, – è già trasformata, ma noi non ne abbiamo la consapevolezza. Il ragazzo che si è occupato del video è venezuelano e vive qui, la ragazza che ieri organizzava l’accoglienza è veneta di origini cubane, il ragazzo che suona il flauto ha origini orientali, la cantante Martina vive qui a Velletri ma è della Tuscia… e tutti, pur avendo alle spalle radici diverse, si sentono parte della cultura popolare veliterna e questa inclusione è stata spontanea, non forzata. Sono tutte persone legate al territorio che lavorano e vivono qui. Questo cambiamento è già avvenuto qui come in ogni città d’Italia, bisogna solo mettere insieme le anime e le menti”.

L’Orchestra del Paese Immobile abbraccia il passato con uno sguardo rivolto verso il futuro: “Stiamo facendo tutto questo affinché tra trent’anni ci siano altre persone a continuare questa tradizione. Magari reinterpretando i testi con la musica del 2050, coinvolgendo nuovi artisti… puntiamo a farla diventare una nuova tradizione. Noi vorremmo che altri ragazzi in futuro portassero avanti questo progetto al posto nostro. Come se fosse una tradizione folkloristica ma con linguaggi legati completamente al futuro. Anche questo si ricollega al concetto di ri-generazione della tradizione. L’idea è quella di mettere la storia, il dialetto e la cultura di Velletri dentro una navicella spaziale e lanciarla nello spazio  per vedere dove arriva. Senza aspettative ma anche senza limiti”.

“A breve, – anticipa Scannicchio, – ci saranno altri cinque o sei concerti da qui al mese di luglio perché le cose stanno andando molto bene e siamo molto contenti”. 

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