Agricoltura & ambiente

Gli Orti Urbani di Ciampino: testimonianze da Pachamama, dove ognuno cura il suo orticello e raccoglie i frutti della terra fotogallery

A Ciampino troviamo Pachamama, in via Marcandreola, all’altezza del civico 38, dove si palesano ai nostri occhi gli ‘orti urbani’, in aperta campagna: un'area che comprende 46 orti, da 50 mq ciascuno, da dare in gestione a chiunque ne faccia richiesta

La troviamo senza cercarla, e senza sapere che esiste, seguendo ‒ a piedi ‒ il percorso ciclabile. Un paio di cartelli su una bassa recinzione ed è la scoperta di una realtà ciampinese che allarga il respiro e gli orizzonti. Pachamama, in via Marcandreola, all’altezza del civico 38, invita a rallentare il passo per arrivare agli ‘orti urbani’ in aperta campagna.

Siamo all’Acqua Acetosa, località nota in passato per la sorgente d’acqua dalle proprietà gustose e benefiche ‒ da cui la zona prende nome ‒ dove accanto alla fonte c’era un alimentari con i filoni di pane marinese sempre appena sfornato e nei paraggi l’osteria ‘Grappolo d’oro’ in cui si mangiava al sacco e l’oste ti serviva il vino fresco di grotta, mentre lo sguardo si perdeva nella distesa dei vigneti assolati ai piedi dei Colli Albani.  Un paesaggio completamente trasformato in brevissimo tempo dall’edilizia residenziale, tuttora attiva e in espansione, ma ancora vivo e brillante nella memoria dei vecchi castellani.

Pachamama o Madre Terra ‒ che riporta alla mente il capo Ichu e la festa della comunicazione, Rimanakuy, che nei primi anni Duemila si svolse per più stagioni  nei campi allestiti principalmente ai Pratoni del Vivaro per apprendere usi e costumi delle popolazioni andine ‒ ci parla di una storia bella iniziata con la nevicata anomala del 2012 e dei suoi sviluppi.

Una nevicata che presto rimodellò tanti scenari, incuriosendo un giovane che osservava dalla finestra della sua camera l’abbagliante fenomeno portandolo a riflettere sul destino degli ultimi  campi incolti e l’utilizzo che se ne poteva fare, potendosi riaccordare con la natura e le sue leggi e con la profonda cultura contadina propria del nostro popolo. Ed è così che prende vita il progetto Pachamama  ideato e organizzato da Alessandro Francesco Pernice, lavoratore autonomo e ‘zappatore’ per passione, e promosso dalla Fondazione ‘Il Campo dell’Arte’.

Il momento era propizio, un po’ ovunque nascevano iniziative e progetti legati al recupero della terra e ai vantaggi delle coltivazioni, al piacere di seminare e produrre riprendendo i ritmi delle stagioni. E su tale stimolo si concretizza nella primavera del 2012 la visione di Alessandro, che subito si adopera per convertire in orti i campi a pascolo che già da ragazzo amava abitualmente frequentare.

Raddrizzate e rattoppate recinzioni, arrangiato un capanno per gli attrezzi, scavato un pozzo e ricavato l’impianto per l’irrigazione, preparato il terreno e  frazionati gli orti di 50 m2 ciascuno, si parte con l’offerta tramite volantini e comunicati, cui subito aderisce un bel gruppetto di aspiranti coltivatori e nella primavera del 2012 si dà il via ai lavori.

Non tutto fila liscio, ostacoli e difficoltà non mancano, inevitabile qualche errore, ma sbagliando s’impara e la terra vuoi o non vuoi t’innamora, e tra chi rinuncia sconfitto e chi invece s’attacca al suo orticello anima e corpo, la piccola comunità cresce in salute e si moltiplica fino ad occupare tutti gli spazi disponibili, una cinquantina. Una impresa impegnativa e rischiosa ma assolutamente vincente, che festeggia quest’anno il suo decennale.

Questo più o meno quanto esposto sul sito e la storia ci piace tanto che ci spinge a recarci sul posto per saperne di più.

Attraversato un vicoletto inseguiti dall’abbaiare di cani guardiani e superato il cancelletto interno che porta agli orti, disposti in due file separate da un viottolo, si viene afferrati da una sensazione di vitalità che è pura pace e ristoro. Incontriamo persone intente a curare i loro ortaggi e altre che arrivano o se ne vanno, e subito s’instaura un cordiale scambio, sollecitato dalla nostra stessa curiosità e interesse per l’insperata circostanza che riporta al formarsi delle prime collettività multiregionali nelle borgate ciampinesi, quando la gente si scambiava semi e ricette e tradizioni, esperienze e fallimenti e consigli, e l’aiuto reciproco all’occorrenza. E spontaneamente le persone si raccontano, quasi ricercando ognuno in se stesso i motivi per cui si trova a faticare sui campi invece di godersi, come spesso si riscontra, l’affrancamento dal lavoro con il pensionamento.

Poche domande, come e perché hanno fatto questa scelta, come sono venuti a conoscenza di tale opportunità, quale la loro attività precedente o collaterale, quali le future intenzioni sul continuare o lasciare, e il discorso va da sé.

Pierino vive a Roma Cinecittà: “Mi sono informato su internet, se ne trovano diverse di offerte simili. Qui mi piace e mi è comodo. È stato quando sono andato in pensione, io lavoravo in banca. Inizialmente non ne sapevo niente di orto e coltivazioni, poi piano piano ho cominciato a prendere la zappa. Mia moglie Paola mi aiuta, nemmeno lei ne sapeva niente, poi si è appassionata”.

Paola, anche lei in pensione, conferma: “Ho conosciuto il contatto con la terra, dopo 42 anni di lavoro chiusa in ufficio. È tutta un’altra vita, mi piace”.

“Siamo tante categorie miste di lavoratori, per lo più in pensione, e ci ritroviamo qui nel tempo libero. Io abito a Morena, qui ci arrivo a piedi”,  il commento rilasciato  in corsa da un bel signore abbronzato.

“Io ero addetto al ricevimento alberghiero, interprete di tedesco e inglese” ci racconta Virginio, residente in Via Mura dei Francesi. “Sono nato da famiglia contadina a Staffoli, un paesello di tre case in provincia di Rieti, e a sedici anni sono partito per la Svizzera, dove ho studiato e lavorato con soddisfazione. Ma le mie origini restano contadine. Questo posto l’ho trovato con i cartelli pubblicitari e cercando su internet, l’uno e l’altro”.

Marina, della zona Mura dei Francesi: “Vengo qui da tanto tempo, avevo saputo di questi orti tramite conoscenti. Veniamo qui con mia figlia e per due anni ci occupiamo noi dell’orticino.  Io facevo la tappezziera. Poi mio marito va in pensione e il lavoro lo porta avanti lui. E noi gli diciamo: fai tu. Mio padre era di Caserta, viene a Ciampino e prende un bel pezzo di terra in Via Quarto Sant’Antonio, dalle parti di Frattocchie. Portava le verdure ai nipotini e tutti noi dietro a lui. Noi abbiamo mangiato sempre i prodotti dell’orto”.

Fabio, di Via Torre di Morena: “Ho questo pezzetto di terra da 5 anni. Mi trovo benissimo, ci conosciamo un po’ tutti, nessun tipo di problema, nemmeno da fuori: quello che uno pianta ci ritrova. Io ho fatto tanti lavori: responsabile di magazzino, autotrasportatore, seguivo il Gruppo ricevimento e distribuzione elettrodomestici ed elettronica. Mai a che fare prima con la terra, non sapevo come era fatta una pala, sono diventato esperto facendo sbagli. Vengo qui la mattina presto, lo stesso orario di quando lavoravo. Qui sono libero”.

Tommaso, il marito di Marina, nel frattempo impegnato a irrigare l’orto: “Io ho lavorato ai Fratelli Spada dal 1970 al 2009 quando sono andato in pensione, un anno prima che cessasse l’attività dello stabilimento in via Lucrezia Romana. Ero litografo, categoria mettifoglio. Stampavo rotative da 48 pagine, una tecnologia allora all’avanguardia. Il fondatore dell’Azienda, Giuseppe Spada, era un buon datore di lavoro, riconosceva e premiava il merito, quando c’era. Morto lui e subentrati gli eredi tutto è saltato”. 

E così via, e quello che più stupisce è che a ricercare la terra siano più i professionisti, dilettanti in materia ma volenterosi d’imparare, che non contadini di nascita o di mestiere. Un richiamo forte, quello di Madre Terra, cui non si sfugge e più si fa sentire quando è messa a repentaglio la sua produzione che è la nostra sopravvivenza, come nel catastrofico momento epocale che si sta attraversando. La terra si rigenera di suo, se lasciata in pace a ricostituirsi dopo le infinite imperdonabili offese inferte dall’ignoranza e ingratitudine umana.

La terra non ha certo bisogno di noi e della nostra opera inconsulta e distruttiva, ma siamo noi a dipendere dalla terra e dai suoi frutti che invece mandiamo in malora, e questo ce lo ricorderanno i nostri figli e le generazioni future quando forse torneranno a coltivare gli orticelli di guerra, e non per hobby ma per stretta necessità, come avviene in tante parti del mondo martoriate da conflitti insanabili e danni collaterali incalcolabili, che però non destano attenzione finché non riguardano direttamente.

a cura di Maria Lanciotti

www.pachamama-roma.it

Via Marcandreola, 38/q  Ciampino (Roma)

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