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Nemi, “La terza nave di Caligola non esiste”: lo studio di Alberto Silvestri su un’iscrizione marmorea

Secondo lo studioso Alberto Silvestri un'incisione marmorea al museo delle Navi svela la verità sul mistero delle imbarcazioni santuario 

nave Caligola nemi

“Res traditae fanis utrisque”, Cose consegnate a entrambi i luoghi sacri: così recita un’iscrizione marmorea risalente al I secolo d.C. e rinvenuta nel 1870, in giacitura secondaria, presso il Tempio di Diana, sulle rive del lago di Nemi.

Si tratta di un elenco di oggetti che sarebbero stati consegnati in dono ai due “fani”, ossia luoghi sacri. L’epigrafe viene tradizionalmente riferita a due ipotetici santuari dedicati a Iside e Bubasti, che sarebbero stati costruiti all’interno del santuario. Di queste presenze però non è stata mai rinvenuta traccia alcuna. Da qui muove lo studio dello storico delle antichità, Alberto Silvestri, il quale, congiungendo alcune evidenze archeologiche ed un’attenta conoscenza del territorio, è arrivato alla conclusione che i due “fana” cui sono stati consegnati i doni elencati nell’epigrafe, non sono da ricercarsi sulla terra ferma ma proprio sulle due navi, sulle quali venivano eseguiti precisi riti.

stele nemi

E’ questo l’affascinante contenuto dell’articolo, pubblicato da Silvestri sulla rivista “Lazio ieri e oggi”, il quale sconfesserebbe l’ipotesi dell’esistenza della terza nave di Caligola, per la cui ricerca nel 2017 erano stati assoldati i Carabinieri del Nucleo Subacquei di Roma, all’opera per diversi giorni sulle acque del lago di Nemi per scandagliarne i fondali.

A corroborare tale tesi vi è il fatto che alcune degli oggetti elencati sulla lastra marmorea sono stati  rinvenuti sulla seconda delle due navi attribuite all’imperatore Caligola. “Cattura decisamente l’attenzione – scrive Silvestri – quanto riportato ai righi 12 e 13, “Cancellate di bronzo con otto piccole erme rivolte all’interno e all’esterno”. Si sta indubbiamente facendo esplicita menzione delle transenne sostenute dai pilastrini terminanti ad erma bifronte provenienti da recupero della seconda nave“. Ma c’è di più, sulla prima nave sono stati rinvenuti “basi di pilastrini di transenna”, che lasciano presagire si tratti della medesima ringhiera in bronzo.

Già nel 2005 una monografia del ricercatore Silvestri aveva messo in relazione il ritrovamento di alcuni reperti bronzei sul fondo del bacino nemorense e l’iscrizione rinvenuta nel santuario di Diana, e attualmente conservato presso il Museo delle Navi di Nemi. Si tratta di una tesi – per la quale vi è in programma una conferenza – che getta nuova luce sulla funzione degli scafi rinvenuti negli anni 1929 e 1931, e che sta catturando l’attenzione di molti studiosi.

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