Cronaca

Il Giudice di Velletri manda a processo due medici per la morte di Aldo Scione, 64enne di Ardea

Generico luglio 2022

“Un mese e mezzo letale nelle mani della sanità”: così Nicola, figlio di Aldo Scione, 64 anni, di Ardea, aveva duramente denunciato, anche in tv, l’odissea sanitaria vissuta dal padre, spirato il 21 gennaio 2017 all’ospedale di Anzio. Ci sono voluti più di 5 anni ma è giunta una prima risposta dall’autorità giudiziaria. All’esito dell’udienza preliminare del 4 luglio in Tribunale a Velletri, accogliendo la richiesta della Procura, il Gup dott. Emiliano Picca ha rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio colposo in concorso due medici che hanno avuto in cura la vittima: una 41enne di Pomezia, radiologa della casa di cura Sant’Anna di Pomezia, e un 65enne di Anzio, ortopedico all’ospedale di Anzio i quali, recita l’atto, “con condotte autonome ma entrambe influenti nel determinismo dell’evento, caratterizzate da negligenza e imperizia, causavano la morte del paziente”.

Dovranno comparire il 15 novembre alle 9 davanti al giudice monocratico di Velletri dott. Fabrizio Basei per la prima udienza di un processo da cui la moglie e i due figli di Scione, che si sono rivolti e sono seguiti da Studio3A – Valore S.p.A., si aspettano giustizia.

Il calvario del signor Scione che, a parte un ictus, ben superato, godeva di buona salute, inizia il 3 dicembre 2016 da una brutta caduta in casa e un’errata diagnosi. Il 64enne lamenta forti dolori alla gamba sinistra e il figlio, dopo averlo condotto senza risultato, l’indomani, al Pronto Soccorso di Anzio, il 6 dicembre lo accompagna alla Casa di Cura Sant’Anna. E qui secondo l’accusa, sulla scorta della consulenza tecnica medico legale disposta ad hoc, avviene il primo errore penalmente rilevante, perché la radiologa  sottopone il 64enne ad accertamento radiografico dell’arto “senza però rilevare la frattura pertrocanterica del collo del femore, nonostante la presenza di indicazioni specifiche che avrebbero dovuto orientare verso tale opzione, quali l’interruzione della corticale ossea e la rima di radiotrasparenza basicervicale, e senza disporre, quanto meno nel dubbio, un esame di tomografia computerizzata che avrebbe potuto evidenziarla con certezza”. Scione viene dimesso con la prescrizione di semplice Tachipirina, “ritardando così in maniera rilevante – si legge nelle carte dell’inchiesta – un trattamento chirurgico che in realtà avrebbe dovuto essere praticato nel minor tempo possibile per ridurre il rischio d’insorgenza delle complicanze connesse all’allettamento prolungato”, tanto più pericolose “in un paziente di 65 anni già affetto da emisindrome spastica da ischemia cerebrale”.

Perdurando però i dolori, i familiari si rivolgono a una fisioterapista e a un fisiatra, che notano subito la posizione scorretta del bacino dovuta al femore fuori asse. Nuova chiamata al 118 e stavolta, all’ospedale di Anzio, dalle lastre emerge la frattura del femore sinistro, ma sono passati 18 giorni: è il 21 dicembre. I medici decidono di intervenire chirurgicamente, ma anche qui si sommano altri errori.

“Dopo aver finalmente individuato la frattura”, si legge ancora negli atti d’indagine, il dottore ortopedico, il 23 dicembre, sottopone il paziente “a un primo intervento chirurgico di osteosintesi con chiodo endomidollalre, caratterizzato però da evidente errore tecnico consistito nel non corretto posizionamento della vite cefalica, la cui mobilizzazione era riscontrata da accertamento radiografico eseguito appena 23 minuti dopo la fine dell’operazione. In questo modo si è reso necessario un nuovo intervento “riparatore”, eseguito il 24 dicembre, “per la rimozione e successivo riposizionamento della vite, che però sottoponeva il paziente a ulteriore stress operatorio aumentando il rischio di infezione, come poi verificatosi, con prolungamento dell’immobilizzazione”.

Il 30 dicembre, infatti, il signor Aldo viene trasferito nella casa di cura Villa dei Pini, ad Anzio, per la riabilitazione, ma va incontro a un progressivo deterioramento delle sue condizioni di salute generale: non ha appetito, respira affannosamente e denota stati confusionali. Problematiche ripetutamente segnalate dai familiari ai sanitari, che però minimizzano, ascrivendole a stanchezza e inappetenza. Non è così. Presto gli riscontrano una bronchite, poi devono sottoporlo a terapia antibiotica per il manifestarsi di un’infezione alla gamba, il 15 gennaio lo trovano incosciente, in coma diabetico, sul letto. Il 17 gennaio lo riportano all’ospedale di Anzio, dove subentra anche una polmonite bilaterale massiva. Il 21 gennaio il suo cuore cede. Decesso dovuto, sempre per citare gli atti d’inchiesta, “a sindrome ipocinetica che evolveva in modo progressivo verso un’insufficienza cardiorespiratoria letale, determinata dalla prolungata immobilizzazione a letto del paziente in conseguenza delle omissioni e degli errori suddetti”.

Superato lo choc per una perdita così pesante e dolorosa, anche per tutte queste vicissitudini, i familiari si sono attivati per fare piena luce sull’accaduto. Tramite i consulenti legali Riccardo Vizzi e Angelo Novelli si sono rivolti a Studio 3A-Valore S.p.A., ed è stato presentato un esposto chiedendo all’autorità giudiziaria di disporre accertamenti onde verificare le cause del decesso ed eventuali profili di responsabilità penale in capo ai medici che avevano preso in cura la vittima nonché delle strutture ospedaliere di pertinenza.

Per mesi non si è più saputo nulla del procedimento penale: nel frattempo Studio3A ha acquisito e sottoposto la documentazione clinica ai suoi esperti, che hanno riscontrato svariati profili di malpractice, e di fronte alla totale mancanza di riscontro delle richieste risarcitorie da parte delle strutture coinvolte, è stata avviata un’azione civile avanti il Tribunale di Roma, giudice Paola Larosa, che sta proseguendo nei confronti dell’Asl Roma 6 (Villa dei Pini è fallita) e i consulenti tecnici nominati dal giudice civile sono pervenuti alle stesse conclusioni: prossima udienza il 13 ottobre.

Si è poi appreso però che la Procura di Velletri, con il Pubblico Ministero dott. Luigi Paoletti, aveva effettivamente aperto un fascicolo, in origine contro ignoti, acquisito le cartelle cliniche, disposto una consulenza tecnica medico legale e si è arrivati alle prime iscrizioni nel registro degli indagati e ora ai due rinvii a giudizio, che confermerebbero anche la solidità della causa sul fronte civile.

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