Teatro

Velletri – L’intervista a Fulvio de Angelis, che ci svela la sua “Famiglia 3.0”: “Sdrammatizzare sempre…” fotogallery

Una famiglia 3.0.

Per amore dei figli, i genitori possono superare qualsiasi barriera mentale. Le vecchie generazioni devono adattarsi al mondo che cambia per continuare a portare per mano i giovani ed essere un solido riferimento per loro. Questo è il messaggio che Fulvio De Angelis, attore veliterno con esperienza pluriennale, ha voluto trasmettere attraverso “Una Famiglia 3.0“, andato in scena per la prima volta nella serata di domenica 7 agosto presso il chiostro della Casa delle Culture e della Musica di Velletri, con la regia di Fulvio De Angelis e Giampaolo Saragoni. Lo spettacolo è stato presentato dall’associazione Formamentis in collaborazione con Radio Mania e la Pro Loco Velitrae.

La prima sceneggiatura originale di De Angelis ha riscosso grande successo tra il pubblico presente, oltre duecento persone, che si è divertito ed emozionato seguendo le strambe vicende di una famiglia “tradizionale” composta da cinque persone: il padre Lorenzo (Fulvio De Angelis), la madre Claudia (Gloria Abbafati), i figli Andrea (Davide D’Ettorre) e Susanna (Caterina D’Ettorre) e infine la vera “colonna portante”: il nonno Aldo (Massimiliano Ciriaci).

Avere a che fare con dei figli adolescenti è come vivere con un terremoto in casa. Lo sanno bene Claudia, mamma chioccia sempre protesa verso la difesa dei suoi ‘cuccioli’ e Lorenzo, uomo medio un po’ vecchio stampo, che nel corso dello spettacolo dovranno affrontare un problema dopo l’altro, tra il coming out di Andrea e la gravidanza adolescente di Susanna, aspirante influencer ossessionata dai social. Il padre tornato da lavoro avrebbe voluto soltanto riposarsi sul divano, invece dovrà inevitabilmente rompere i suoi schemi e aprirsi al mondo che cambia per amore dei figli. I quali rappresentano il presente e il futuro, con le sue opportunità e le sue contraddizioni.

Un sesto personaggio, il misterioso Giorgio (Giampaolo Saragoni), che il pubblico conoscerà solo verso la fine dello spettacolo, si rivelerà importantissimo per la trama, costituendo sia il pezzo mancante che l’elemento di discordia della storia. Ma alla fine tutto si concluderà ‘a tarallucci e vino’, dimostrando che alla fine la cosa più importante è la famiglia, e per amore di essa si può scendere anche a impensabili compromessi.

L’autore, regista e attore di “Una Famiglia 3.0.” Fulvio De Angelis si è raccontato a “Castelli Notizie”

Come nasce “Una famiglia 3.0”?

“Ho iniziato a pensarci prima della pandemia. L’idea era quella parlare dei giovani di oggi e delle famiglie in generale, poi il progetto si è arenato. L’ho ripreso qualche tempo dopo in occasione di una cena con delitto che ci chiesero di organizzare. Allora, in collaborazione con un amico, ripresi in mano la storia per renderla più ‘gialla’. Poi ho continuato a lavorarci terminando la sceneggiatura a maggio di quest’anno. Volevo trattare temi importanti per la società con toni leggeri, affrontando argomenti seri in modo da renderli fruibili al pubblico ma senza scadere nei luoghi comuni e nelle solite battute”.

I personaggi invece sono scaturiti dalla sua fantasia oppure sono ispirati a qualche incontro nella vita reale?

“Dal punto di vista del carattere dei personaggi il testo è abbastanza autobiografico. “Lorenzo”, il padre, è ispirato a me e al mio vissuto personale, con i miei pregi e i miei difetti, ma anche sua moglie, “Claudia”, rispecchia un po’ la mia storia. Per quanto riguarda gli altri personaggi, mi sono ispirato a delle caratteristiche che ho osservato in persone reali, portandole all’eccesso. In tanti anni di teatro io ho studiato molto i comportamenti degli altri. Poi assieme a Giampaolo Saragoni ci siamo occupati della regia e lui è stato bravissimo nel comprendere la mia idea e metterla in scena, creando dei personaggi fantastici anche grazie alla bravura degli attori che li hanno interpretati”.

Come si è trovato a lavorare con loro? 

“I ragazzi sono meravigliosi, hanno un’energia che ti porta via con loro e ti fanno ricordare com’eri tu all’epoca in cui hai cominciato, dandoti tanti stimoli nuovi. Caterina, neodiplomata, ha 19 anni mentre Davide una ventina. Sono giovanissimi ma hanno già diverse esperienze alle spalle. Caterina a ottobre inizierà l’accademia di teatro. Sono fratelli nella vita reale e si sono trovati ad interpretare due fratelli anche sul palcoscenico.  Ma anche chi si avvicina al teatro in tarda età è pieno di risorse perché magari questa passione e questo desiderio ce l’ha sempre avuto dentro ma non ha mai potuto metterlo in pratica”.

Un personaggio particolarmente interessante è quello del nonno, che pur soffrendo di Alzheimer alla fine risulta essere il più sveglio di tutti…

“Infatti il mio è intento era proprio quello di creare un personaggio che facesse dire alla gente «ma c’è o ci fa?». Alla fine l’obiettivo era sempre quello di farsi due risate ma il nonno è anche un personaggio che funge da colonna portante della sua famiglia, un punto fermo per tutti gli altri componenti. Infatti è significativo il fatto che lui non si muova quasi mai dalla sua postazione, salvo che in situazioni particolari che costituiscono momenti clou della trama. Il nonno osserva tutto e poi agisce di conseguenza. Non è stato facile ma ci siamo riusciti soprattutto grazie alla capacità interpretativa di Massimiliano Ciriaci che è stato bravissimo”.

Cosa ne pensa dell’accoglienza che ha ricevuto lo spettacolo da parte del pubblico?

“Sinceramente ero un po’ preoccupato perché abbiamo portato in scena una sceneggiatura originale che tratta temi un po’ controversi e magari alcune cose potevano essere fraintese o alcune battute potevano non far ridere… invece il pubblico ha riso anche in momenti in cui non pensavo che lo avrebbe fatto. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che tutte le persone con cui ho parlato dopo la messa in scena di “Una famiglia 3.0.” abbiano compreso il messaggio che volevo mandare. Poi sono andato a leggere anche i commenti sui social e mi ha emozionato il fatto che così tante persone avessero percepito esattamente quello che io volevo comunicare. Nonostante gli argomenti affrontati (l’omosessualità del figlio, la gravidanza adolescente della figlia, la malattia del nonno…) fossero un terreno scivoloso. Il rischio era che venisse fuori una macchietta e che si mancasse di rispetto a certe sensibilità, e io non volevo assolutamente che accadesse questo. Leggendo i commenti penso di esserci riuscito e ne sono contento”.

Qual era il messaggio che volevi mandare con “Una Famiglia 3.0.”?

“Che la famiglia può affrontare insieme qualsiasi difficoltà e bisogna. Bisogna tener presente il proprio bagaglio di vita vissuta e metterlo a disposizione dei giovani ma senza rimanere ancorati alle proprie vecchie idee perché il mondo è cambiato. Oggi abbiamo una libertà che prima non avevamo e i giovani hanno il diritto di viverla. Ovviamente non bisogna mandarli allo sbaraglio in questo mondo che va duemila all’ora. Il ruolo dei genitori è correre affianco a loro facendogli da guida”.

Come nasce la sua passione per il teatro?

“Ho iniziato a fare teatro da ragazzino, all’età di 14 anni, e nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare grandi maestri, in particolare Enrico Cappelli e Giampaolo Saragani, che ci tengo a ringraziare. Il mio ex professore di italiano delle medie aveva lavorato per tanti anni con Carmelo Bene, un celebre attore di teatro. Il teatro mi ha formato il carattere. Ero un ragazzino timido e insicuro e cimentarmi nella recitazione mi ha aiutato ad aprire la mente e le spirito agli altri. Alla superiori e in età adulta ho fatto tanti corsi di teatro e ho lavorato anche con registi di un certo livello. Sono entrato in un’antica Compagnia di Velletri, Il Teatrone, attiva dal ’74, e qui ho conosciuto tanti attori più grandi di me che mi hanno portato per mano e mi hanno fatto crescere. Mi sono tolto anche la soddisfazione di vincere un premio come attore non protagonista qualche anno fa”.

Perché ha scelto di dedicarsi proprio alla commedia?

“Nella mia vita ho sempre cercato di sdrammatizzare e cercare la parte comica in ogni situazione. È una mia predisposizione”.

Cosa l’ha spinta a fondare Formamentis? 

“Io e Giampaolo Saragoni avevamo questo sogno in comune di creare un nostro gruppo di teatro aperto a chiunque volesse avvicinarsi a questo mondo. Questo spettacolo è la primera opera strutturata di Formamentis. A ottobre dell’anno scorso avevamo fatto Veliterna LOL uno spettacolo in cui 10 personaggi noti di Velletri facevano di tutto per far ridere gli altri sul palco, liberamente ispirato al programma televisivo omonimo ma in chiave rivisitata. È stato molto apprezzato e ci siamo divertiti da pazzi. L’anno scorso è partito il primo corso di teatro di Formamentis e questo è il secondo anno”.

Avete altri progetti in programma? 

“Abbiamo diverse cose in cantiere. Intanto porteremo Una Famiglia 3.0. in giro per l’Italia e partecipare a diverse rassegne della UILT (Unione Italiana Libero Teatro). Poi abbiamo il progetto di portare un lavoro di Pirandello nelle scuole del Lazio e ci stiamo adoperando anche per il sociale con tante idee da sviluppare. A noi piacerebbe lavorare, campare e vivere teatro. Questo è il sogno che abbiamo in comune con Giampaolo. Come allievi del primo corso di teatro che abbiamo fatto abbiamo avuto una famiglia completa: padre, madre e figlio. Fantastici. Erano persone che conducono una vita normale e non avevano mai fatto nulla del genere. È stata un’esperienza meravigliosa e si è creato un rapporto bellissimo con loro”.

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