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22enne iraniana ammazzata per aver indossato male il velo: anche 4 bambini uccisi nelle manifestazioni di protesta in Iran

Mahsa Amini Iran

Si allarga la protesta per Mahsa Amini, la ragazza iraniana di 22 anni deceduta dopo essere stata arrestata dalla Polizia morale a Teheran, con l’accusa di aver indossato male il velo. Anche nella città di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, le donne sono scese in piazza oggi per denunciare ”il regime iraniano” e ”la repressione”. Circa trecento le manifestanti che hanno scandito in curdo ”Abbasso la dittatura” e ”Donna, vita e libertà” radunandosi di fronte agli uffici delle Nazioni Unite a Erbil. Alcune di loro hanno dato fuoco al velo islamico.

Proteste che non hanno fatto breccia tra le autorità iraniane, che hanno arrestato 739 persone, tra cui 60 donne, nel Nord del Paese, accusate di aver preso parte alle proteste.

Manifestazioni di solidarietà si sono tenute anche in Italia, come accaduto ieri a Bologna, dove in tanti hanno cantato “azadi azadi azadi”, cioè “libertà” in persiano. “Non ci fermeremo mai, non lasceremo le nostre sorelle e i nostri fratelli morire nelle strade. E’ mio fratello che sta morendo nelle strade”, ha dichiarato in lacrime uno degli animatori del presidio che si è tenuto sotto le Due Torri.

”Sostenete il popolo iraniano”, ”Le persone vengono uccise per la libertà in Iran”, si legge su alcuni cartelli. ”Jhina, un esempio di vita, la scintilla della rivolta”, è stato scritto su un altro usando il nome curdo di Mahsa. La vittima era infatti originaria del Kurdistan iraniano, nel nord-ovest dell’Iran al confine con l’Iraq.

I disordini e le manifestazioni in Iran vengono affrontati “con durezza”, col regime di Teheran che sta mostrando il suo vero volto repressivo nei confronti delle proteste per la morte di Mahsa Amini, deceduta dopo l’arresto per non avere indossato correttamente l’hijab. Proteste represse nel sangue con un alto costo di vite umane.

Secondo Teheran, sono 35 le persone che hanno perso la vita dopo i cortei, raduni e barricate, mentre Ong e fonti dell’opposizione hanno fornito un’altra versione dei fatti, denunciando almeno 50 morti, con centinaia di feriti. E tra le vittime, secondo Amnesty International, si contano anche quattro bambini.

Il presidente ultraconservatore iraniano Ebrahim Raisi ha promesso il pugno di ferro e ha definito i manifestanti dei “rivoltosi che disturbano l’ordine e la sicurezza” e dunque vanno fermati. Teheran, come di consueto, non ha escluso lo zampino degli Occidentali: il ministro dell’Interno, Ahmad Vahidi, è infatti convinto che i manifestanti stiano “seguendo gli Stati Uniti e i Paesi europei e i controrivoluzionari con il fine di creare disordine e distruzione”, aggiungendo che il bando a Internet, a Whatsapp e Instagram proseguirà fino alla fine delle proteste. Poi è stato aggiunto al bando anche Starlink, l’internet satellitare di Elon Musk.

Ancora buio invece sulle cause della morte di Mahsa Amini, avvenuta tre giorni dopo l’arresto. Vahidi ha detto di escludere da parte sua il pestaggio da parte della polizia, dicendo di “attendere il rapporto finale del team medico”, che esegue l’autopsia. “Sono state ricevute segnalazioni dai servizi di sorveglianza, sono stati interrogati i testimoni, sono stati rivisti i video, sono stati ottenuti i pareri dei medici forensi ed è stato accertato che non vi sono state percosse” sulla donna.

Impressionanti gli arresti di massa. Nella sola provincia di Guilan la polizia iraniana ha fermato “739 rivoltosi, tra cui 60 donne”, mentre il Comitato per la protezione dei giornalisti, organizzazione indipendente con sede a New York, ha annunciato che da lunedì 11 giornalisti sono stati arrestati. Il clima è estremamente teso in varie zone del Paese, che conta più di 80 milioni di abitanti, il 90% dei quali sciiti, e dove le donne sono obbligate a coprirsi i capelli e non possono indossare cappotti corti o attillati o jeans bucati.

La repressione del regime teocratico non ha però scoraggiato anche ieri i dimostranti, in particolare gli studenti di diverse università, tra cui quella di Teheran, che hanno continuato a radunarsi. Le manifestazioni si sono tenute nel primo giorno di apertura degli Atenei e delle scuole, sebbene il governo abbia annunciato che le lezioni universitarie si terranno online per almeno due settimane. Raduni anche nel Kurdistan iracheno, dove in centinaia hanno manifestato a Erbil, per denunciare “il regime iraniano” e la “repressione”. Un fotografo della France Presse ha riferito che circa 300, tra uomini e donne, hanno scandito slogan in curdo, davanti agli uffici delle Nazioni Unite come “Donne, vita, libertà” e “Abbasso la dittatura”.

A condannare la repressione, oltre alle principali cancellerie occidentali, si sono associate anche un centinaio di personalità del cinema iraniano, tra attori e registi, che hanno voluto far sentire la loro voce, con un appello alle forze di sicurezza a non prendere di mira i manifestanti con i proiettili. Secca la reazione del ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico: le attrici che hanno annunciato pubblicamente o sui social media di sostenere Amini non potranno più continuare la loro carriera nella recitazione.
Intanto l’hashtag #Mahsa_Amini ha battuto un record storico: è stato ritwittato più di 67,7 milioni di volte. 

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