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Dai Castelli Romani al Sahara, la testimonianza di Roberto Salustri dall’Africa, in missione nei campi per rifugiati Saharawi fotogallery

Il cofondatore e direttore tecnico scientifico dell’EcoIstituto RESEDA onlus, partito la scorsa settimana per l'Africa, ci racconta come sta andando la sua missione nei campi per rifugiati Saharawi

Le foto dall'Africa di Roberto Salustri, in missione nei campi per rifugiati del Saharawi (FOTO)

Da Castelli Romani al Sahara, continua senza soluzione di continuità la missione professionale e di vita di Roberto Salustri, cofondatore e direttore tecnico scientifico dell’EcoIstituto RESEDA onlus, partito la scorsa settimana per l’Africa, in una delle sue tante spedizioni volte a fare del bene, attraverso la sua spiccata competenza sulle tematiche ambientali e sociali.

Ecologia e solidarietà è il binomio dei suoi tanti viaggi nel mondo, ormai decine, culminati in impianti solari per Ospedali, orti per comunità “assiderate” dalle asperità della terra e acqua per chi è massacrato da governi ostili. 

Esperto di energie rinnovabili e risparmio energetico con decenni di esperienza nella progettazione e realizzazione di impianti solari, Salustri ha partecipato ai più importanti progetti europei sulla diffusione dell’utilizzo degli impianti termici solari. Docente e ricercatore dal 1999 è impegnato a migliorare le tecniche di utilizzo delle fonti rinnovabili e a diffondere le migliori pratiche di progettazione e installazione.

Oltre ad essere attivo nello sviluppo della Decrescita Energetica e nel movimento delle Transition Town per la realizzazione di una società e di una cultura senza fonti fossili, per il nostro territorio è uno dei baluardi più preziosi a difesa e salvaguardia dell’ambiente. Nota, tra le tante, la sua battaglia a protezione dei laghi dei Castelli Romani, in costante, inesorabile e, neppure tanto lento, prosciugamento. 

E’ stato proprio lui, lo scorso ottobre, in una dettagliata esposizione scientifica, ad evidenziare come la biodiversità dei Castelli Romani faccia invidia a quella dell’Amazzonia. Parole che hanno stupito in tanti e, magari, fatto sorridere qualcuno, ma che Salustri ha saputo presentare e motivare accuratamente.

A lui , un uomo dal cuore grande – che ringraziamo per aver accettato l’invito di “Castelli Notizie” a farci una sorta di cronistoria della sua esperienza sahariana (che divideremo in 3 parti) – lasciamo la parola, per saperne di più di questa sua nuova missione in Africa (tra l’Algeria e il Sahara Occidentale), che, particolare di non poco conto, permette la sopravvivenza di decine di migliaia di persone. 

Roberto Salustri dalla sua missione nei campi per rifugiati, tra pozzi, orti e alberi al posto delle mine

«Questa è l’ennesima missione, decine di volte sono partito per Paesi africani o dell’America Latina; missioni sempre in posti difficili sia come ambiente sia per la situazione sociale, economica o per i conflitti armati. Senegal, Camerun, Tunisia, Tanzania, Colombia, … e molti altri. I progetti che realizzo come Ecoistituto Reseda onlus sono vari, ma hanno sempre a che fare con l’ecologia e la solidarietà. Impianti solari per gli ospedali per rifugiati o per le popolazioni indigene massacrate dai paramilitari, progetti di AgroEcologia in zone aride nel Sahara o nel Sahel, sostegno sanitario o di soccorso alle popolazioni in difficoltà anche in Italia: Aquila, Amatrice, Emilia Romagna. Progetti di protezione delle foreste congolesi o dell’Amazzonia, riforestazione nella grande muraglia verde africana.

Questa volta è una missione nei campi per rifugiati Saharawi, uno dei popoli che più ho aiutato in questi 20 anni di attività. I campi sono situati nel Sahara e in particolare nell’Hammada, uno dei luoghi più difficili del pianeta. Gli obiettivi di questa missione sono un report tecnico sui nuovi 20 orti che abbiamo realizzato per fornire cibo fresco ai rifugiati, fare formazione per il progetto “un albero per ogni mina”, una serie di riunioni con le istituzioni e i partner locali, la supervisione dei pozzi che abbiamo realizzato per l’irrigazione.

Molti obiettivi e poco tempo; sono solo in questa missione, come quasi sempre. Non ci sono infatti molte persone che si adattano a queste missioni, dove le difficoltà ambientali sfiancano il fisico e i problemi sono di varia natura: logistici, culturali, di comunicazione e sanitari.

Lavorare con le istituzioni locali per risolvere le più svariate situazioni, in questa missione in particolare quelle che riguardano la sicurezza, che in questo periodo sono ad alto livello a causa dei droni marocchini che colpiscono i civili nelle aree liberate. Sarà possibile raggiungere il campo più lontano e bisognoso di aiuto? Lo sapremo solo in questi giorni.

La missione viene preparata mesi prima insieme ai partner locali, fare lo zaino è l’ultima cosa, di solito l’ultimo giorno prima della partenza fino a notte. Uno zaino tecnico per gli spostamenti in giornata o per due giorni e uno per portare l’attrezzatura e il vestiario. Bisogna essere il più possibile preparati, anche se sei tu a fare la differenza e non l’attrezzatura, ma di certo semplifica la vita. Un pronto soccorso individuale o IFAK Individual First Aid Kit e un MK Medical Kit con medicinali non di pronto intervento ma necessari.

Il viaggio di solito dura un paio di giorni, uno o due scali, l’arrivo nell’aeroporto militare di Tindouf (città algerina vicina alle zone autonome della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, il governo in esilio del Sahara Occidentale, ndr), e poi la scorta armata fino ai campi per rifugiati sotto la protezione della missione Minurso dell’ONU e del Fronte Polisario. Più o meno 3500 km di cui gli ultimi duecento in fuoristrada nel deserto del Sahara.

Dai Castelli Romani al Sahara. Alla prossima puntata».

Roberto Salustri

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