Attualità

78enne muore solo in ospedale: ancora una lettera di denuncia per “una sanità non più all’altezza”

anziano ospedale

Ancora una volta ci ritroviamo a dare voce ad un’esperienza difficile, ad una scomparsa seguita tragicamente a giorni di distacco dai propri cari, tra isolamento e la richiesta di quelle cure che rappresentano le radici di una società civile in grado di dare dignità ad ogni paziente, ma che spesso un sistema sanitario sovraccarico e fiaccato stenta a corrispondere.


IL TESTO DELLA LETTERA

“Il tempo in cui ammalarsi diventa un’esperienza surreale, quasi come inoltrarsi nelle bolge concentriche dell’inferno Dantesco. La nostra storia ha inizio il giorno 17 gennaio 2022,e trova fine il 4 febbraio. Questo scritto vuole essere una riflessione comune, attraverso la ricostruzione degli eventi, da condividere apertamente, per ritrovare il nostro elementare valore del senso della vita.

Per una famiglia che ama, che non cede all’ingiustizia, che ricerca la verità, bisogna scrivere, narrare, per esortare la consolazione, nel valore di ciò che accade freneticamente, dove la paura del contagio la fa da padrona da due anni. Ha eretto muri di omertà, ipocrisie, false verità.

Chiunque si definisce e si riconosce nel ruolo di una professione di aiuto, che diviene esattamente l’opposto in questo periodo di pandemia, per opera di chi? Parliamo di un uomo di 78 anni, che a seguito di un malore, viene accolto al pronto soccorso in una cittadina di provincia, affetto da emorragia cerebrale pregressa e compensata, al quale viene diagnosticata una nuova ischemia transitoria. Dopo il Triage, con tampone d’ingresso negativo, egli viene inserito e tenuto in osservazione, iniziando alcuni accertamenti e aspettando un posto letto nel reparto di medicina.

Con fiducia i parenti attendono gli esiti ed inaspettatamente il terzo giorno, non viene ritrovato il paziente in PS. Egli si era allontanato volontariamente dal presidio, senza che nessuno se ne accorgesse, incamminandosi tranquillo per le vie della cittadina. Comunicata l’assenza ai famigliari, essi vanno alla sua ricerca, dopo alcune ore lo ritrovano e lo riportano agli operatori sanitari, per continuare gli screening. I sanitari si scusano. Viene ripetuto anche il test Covid-19 istantaneo, che risulta debolmente positivo. Nel PS vi sono soggetti positivi, in tutta la ASL RM 6, non vi sono posti disponibili nei reparti di medicina. I parenti raccomandano la vigilanza e isolamento per il paziente. Vista la situazione, i familiari propongono ai sanitari, di firmare a fine esito accertamenti e di riportarlo a casa, quindi vengono effettuati altri due tamponi molecolari, con esito negativo. Il sabato dopo confronto con il medico in servizio, che ci prescrive una visita specialistica neurologica, e non compaiono risultati negativi della tac ripetuta, si firma e viene dimesso, in quanto non si evidenzino danni ischemici. Felice il paziente ed i suoi famigliari, tutti ritornano ad una quotidianità, testimoni di eventi accaduti e subiti ai danni di una persona fragile, dalla parziale somministrazione di cibo, alla mancata sorveglianza, laddove la legge parla chiaro nei confronti di pazienti neurologici, alla mancata somministrazione di farmaci  salvavita, consegnati inizialmente al personale sanitario di turno. Dopo il 4 giorno dal ritorno a casa, compaiono una serie di sintomatologie tra cui febbre alta, tosse, difficoltà respiratorie. A questo punto viene subito allertato il medico di famiglia, al quale viene richiesta una visita domiciliare, ma egli consiglia di eseguire una tac polmonare immediata e si rifiuta di effettuare la visita medica domiciliare, dimenticando di prescrivere antibiotici. Fiduciosi, i parenti intendono proseguire la cura a casa. Intorno alle ore 21, viste le condizioni telefonano alla guardia medica, sita sempre presso il nosocomio, la quale si rifiuta di visitarlo a domicilio, prescrivendo tachipirina, e consigliando di aspettare il mattino dopo, per iniziare una eventuale somministrazione antibiotica, chiaramente facendosi prescrivere i farmaco dal medico di base. Alle ore 23 circa, al peggiorare della sintomatologia, le condizioni cliniche precipitano al punto che diventa indispensabile chiamare l’autoambulanza, che lo riporta presso il PS. L’esito del tampone di accesso risulta subito positivo, livello di emergenza 3. I familiari propongono il trasporto in un reparto per malattie infettive, o in una struttura dotata di  reparti di terapia intensiva e sub-intensiva, invece i sanitari decidono di farlo rimanere nel PS per circa una settimana. In questo contesto, senza tener conto della criticità clinica presente e passata della persona. Descrivere come si sono sentiti in questa situazione, attendere tutto il giorno senza ricevere notizie, per arrivare alla sera in cui in un’ora, tutti i parenti dei degenti chiedono aggiornamenti. I medici, essi stessi stanchi, saturi per una situazione sanitaria chiaramente allo stremo, nonostante l’impegno e la motivazione professionale, in cui è evidente lo scarso supporto ricevuto.  Un livello antietico, antiprofessionale, un cui forse desideri comunicare, fermandoti, su un insegnamento antico di cura, su un giuramento, su un operato in cui la  diagnosi, la  prevenzione,  e il corretto e puntuale intervento spesso rappresentano la salvezza. La sanità è un servizio imprescindibile in una società civile, che nel nostro paese ha subìto tali e tante trasformazioni e riduzioni da non essere più all’altezza delle esigenze di cura dei cittadini.

Queste realtà necessitano ora di essere descritte e divulgate al fine di poter migliorare ogni aspetto e cercare di salvare altri pazienti bisognosi e fragili. Non è possibile lasciare le persone sole all’interno di strutture che dovrebbero proteggere, isolati, inascoltati. Si continua a ricoverare, quando il personale medico ed infermieristico, vista la mole di lavoro è numericamente insufficiente, a discapito di essere umani. Chi opera queste scelte gestionali ed economiche, dovrebbe necessariamente interrogarsi, ed essere più attento. Spesso siamo testimoni di come il fine vita trovi spazio come soluzione al sintomo insorto. Il 3 febbraio, il paziente diviene codice rosso, alle ore 19 si conviene il trasferimento al reparto di sub-intensiva dell’ospedale NOC .

Un familiare chiede all’Ospedale dei Castelli di Ariccia intorno alle 20 e 30, se il paziente era arrivato in reparto, e gli viene risposto di si.

In realtà il trasferimento non era ancora avvenuto, quindi i famigliari si attivano per velocizzarlo, cercando anche soluzioni alternative, come un’ambulanza privata, consapevoli che il tempo per salvarlo era poco. Dopo vari solleciti e richieste di aiuto, intorno alle 22.00 avviene il trasferimento. Il giorno dopo, 4 Febbraio alle ore 19, i sanitari comunicano che il paziente è morto. Chi si riconosce nell’essersi smarrito in questa selva oscura, come nell’inferno di Dante, si fermi! A nessuno dei famigliari è consentito l’accompagnamento, il riconoscimento ed un ultimo saluto, perchè sono state formulate attente linee guida relative alla  prevenzione dal contagio da Covid, a cui ognuno di noi si deve attenere!”

 

“Chi ama non cede all’ingiustizia, la verità  è la sua gioia

 

Lettera Firmata

leggi anche
ospedale malato
Attualità
“Mia madre morta sola in ospedale”, la difficile e dolorosa lettera della figlia di Annamaria Iozzi
Ospedale dei Castelli 1
Sanità
“Nostra madre è morta così, attenzione al virus dell’insensibilità”: la testimonianza delle figlie di una paziente dell’Ospedale dei Castelli
commenta