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Genzano ha celebrato la Giornata della Memoria, ricordando Giulio Amati: “No indifferenza per le tragedie del presente”

genzano giornata della memoria

Nella mattinata di sabato 27 gennaio anche Genzano di Roma, come da tradizione, ha celebrato la Giornata della Memoria, la ricorrenza che cade nel giorno in cui le armate sovietiche liberarono il Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. E lo ha fatto proprio nel parco dedicato a Giulio Amati, nato e vissuto a Genzano, catturato a Roma – probabilmente dopo che un delatore rivelò la sua presenza – e morto nel Campo di concentramento di Landsberg, nel 1945.

A partire dalle ore 11 i presenti si sono posizionati di fronte la targa dedicata a Giulio Amati, nella quale – prima dell’inizio dei vari interventi – è stata depositata da parte della Polizia Locale genzanese una corona di alloro. A prendere la parola sono stati i professori Giulio Bagni e Ugo Mancini, il Sindaco di Genzano Carlo Zoccolotti, la Presidente del Consiglio comunale Patrizia Mancini, l’Assessora alla Pubblica Istruzione Antonella Paternoster, il Presidente della sezione ANPI di Genzano Adriano Carreri e i rappresentanti delle Scuole medie genzanesi.

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Dopo le commoventi letture portate proprio dagli studenti dell’Istituto Garibaldi, a riassumere il senso dei primi interventi è stato il professor Giulio Bagni, che ha raccontato le sue esperienze fatte con gli studenti con i quali aveva organizzato gemellaggi e visite nei Campi di concentramento: “Abbiamo visitato Berlino, Lipsia, Dresda, Bittenberg. Però l’ultima visita fu quella al Campo di concentramento di Buchenwald, dove vidi un mio alunno di 15 anni – che oggi è colonnello medico – piangere come un bimbo e chiedermi come fosse potuto accadere tutto questo. Eravamo davanti a cumuli di capelli e denti.

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Io non sapevo cosa rispondere, se non che tutto ciò purtroppo era successo e che dovevamo fare in modo che non ricapitasse mai più. Io lo dico soprattutto ai giovani, tra cui quelli che hanno parlato prima: qualcuno diventerà medico, qualcuno avvocato, ingegnere, ma spero che ci sarà qualcuno che vorrà diventare sindaco, perché tenga vivi questi gemellaggi. Che intendo come incontri, dialoghi, impegno reciproco, amicizia. Anche con tutti questi strumenti allora si potrà costruire la parola pace”, ha concluso tra gli applausi Giulio Bagni.

A prendere la parola è stato poi il Presidente della sezione ANPI di Genzano Adriano Carreri che, nel suo intervento, ha ricordato e omaggiato la figura di Giulio Amati: “La Giornata della Memoria serve a ricordarci che, anche se sono trascorsi ottant’anni e ormai molti pochi testimoni diretti di quei fatti sono presenti ancora oggi in questo parco – come in tanti altri luoghi d’Italia e d’Europa – questa tragedia è avvenuta e non in parti del mondo lontane da noi, ma nell’Europa cristiana e civilissima.

Questo sterminio non fu solo del popolo tedesco accecato dalla mitologia fanatica del nazismo, ma sono stati loro complici tutti quei popoli che, alleati o occupati dai nazisti, nondimeno non si sono sottratti alla loro parte nell’individuazione, nella cattura dei propri cittadini di origine religione ebraica. Loro complici sono stati anche tutti quei popoli che hanno voltato la testa dall’altra parte e – pur non collaborando attivamente alla deportazione e allo sterminio – non hanno fatto neanche nulla per impedire che. Dunque, sono colpevoli gli inglesi, i francesi, i croati, gli ungheresi, gli ucraini e gli italiani. Si, perché noi siamo qui anche per ricordare che tra i sei milioni di ebrei, zingari, omosessuali, invalidi, diversamente abili e oppositori politici sterminati nei campi di concentramento nazista, ce ne erano anche circa 8000 di lingua e cittadinanza italiana.

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Il 16 ottobre del 43 – ha aggiunto Carreri – venne rastrellato il Ghetto di Roma, uno dei più antichi del mondo. Solo quel giorno vennero avviate alla morte 1023 persone, tra uomini, donne e bambini. 20 mesi dopo ne sarebbero tornati solo 16: 15 uomini e una sola donna, che voglio qui ricordare qui: Settimina Spizzichino. E persino una piccola città come Genzano ha avuto la sua vittima, che oggi ricordiamo: Giulio Amati era nato qui nel 1913 da genitori che avevano una loro attività commerciale sul nostro corso principale e che pare abitassero in nell’attuale Via Belardi. Egli si sposò, ebbe tre figlie e la sua vita poteva essere quella di uno dei nostri tanti concittadini perfettamente integrato nella comunità.

Invece la tragedia si abbatté anche su di lui, che fu costretto da prima a rinunciare alla propria attività, poi alla propria casa, infine a trasferirsi presso la famiglia della moglie a Roma. Una scelta che gli fu fatale perché, sfuggito al rastrellamento del ghetto, fu comunque arrestato il 1 Febbraio del ’44, prima di a essere deportato prima ad Auschwitz, poi a Buchenwald e infine a Landsberg, dove morì il 20 Aprile 1945″.

Adriano Carreri ha poi rivolto un pensiero anche ai cittadini di Gaza, in Palestina: “C’è un’altra ragione per la quale dovremmo essere qui oggi. Come disse Primo Levi nella frase “Comprendere è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può ritornare”, dovrebbe far si che il dolore, la vergogna, la rabbia che ci assalgono quando sentiamo parlare di questi fatti di ottant’anni fa, non ci lascino invece indifferenti di fronte alle tragedie del presente.

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Non credo che le vittime dell’olocausto e neanche nessuna dei sopravvissuti – che ancora oggi hanno novant’anni suonati fanno attività di memoria (voglio qui ricordare soltanto la senatrice Segre e Sami Modiano – si offenderebbe se utilizzassi quest’ultima parte del mio intervento per ricordare che una tragedia, forse non delle proporzioni di quella di ottant’anni fa, si sta abbattendo da settimane sulla popolazione di Gaza in Palestina. Forse si impegnerebbero loro per primi, se potessero vedere con i propri occhi, che una furia cieca e brutale si sta abbattendo anche oggi su centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, colpevoli solo di essere nati dalla parte sbagliata del muro. L’attacco di Hamas del 7 ottobre è stato una brutale riedizione dei pogrom antiebraici che speravamo di non vedere mai più. Ma l’accanimento con cui si sta facendo scontare questo attacco alla popolazione di Gaza, è vergognoso. Così tanto che da sempre più parti si inizia parlare di genocidio e di pulizia etnica. Non siamo noi a dirlo, ma lo sta affermando anche l’alta Corte di Giustizia dell’Aia oggi”. 

Un argomento senz’altro spinoso e fonte di tensioni, come testimoniato dall’assenza del prof. Lucio Allegretti (genzanese d’adozione figlio di un ebreo deportato a Dachau), negli anni scorsi in prima fila, e allontanatosi dall’ANPI perché, a suo dire, schieratasi apertamente contro Israele e le sue possibili ragioni.

Ad intervenire è stato poi Ugo Mancini, professore e storico, che ha ricostruito brevemente le tappe fondamentali che hanno portato all’accettazione da parte del popolo tedesco, delle leggi razziali e dello sterminio ai danni della popolazione ebraica: “Cosa deve insegnarci la Shoah? Se la considerassimo un unicum nella storia, non ci lascerebbe nulla e tutto si riferirebbe solo uno scontro tra ebrei e nazisti. La Shoah è unica per certi aspetti, per come è stata scientificamente progettata e preparato come quello che si è verificato nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Ma se vogliamo capire gli effetti dobbiamo andare a ricercare le cause. Genocidi ce ne sono stati tanti, ma nessuno con queste tecniche. La Shoah è stata unica, ma irripetibile? Questo no. Auschwitz era un grande laboratorio sociale, che ha fatto capire dove può andare l’uomo che si veste da carnefice e si lascia accecare dall’ideologia.

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Perché c’è stato Auschwitz? Perché c’è stata la Shoah. Questa, infatti, non è una questione marginale rispetto al nazismo, perché rappresentava un nucleo centrale. Il nazismo è una forma di fascismo europeo, e ciò che lasciava intravedere cosa sarebbe accaduto è che il nazismo stesso si fondava su un assunto fondamentale: secondo quanto detto dal giurista tedesco Schmidt, il primo atto politico sta nell’individuare il proprio.

È su questa costruzione del nemico che si costruisce la politica che coinvolse un popolo intero in crisi, uscito sconfitto dalla Prima Guerra Mondiale e con un orgoglio ferito. Ed ecco qui che io riverso tutto il risentimento nazionale popolare verso un nemico.

[…] I primi ad essere eliminati in Germania però non furono gli ebrei, ma i disabili. La lotta contro il disabile viene propagandata come lotta economica, tant’è che nei si diceva quanto avrebbe fruttato ai tedeschi eliminare tutti quelli che lo stato deve aiutare a mantenersi, perché non sono in condizioni di farlo da soli. “Vuol dire risparmiare milioni di marchi”, dicevano e traducevano questi in tonnellate di carne e di pane”.

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Il professore ha poi proseguito: “Hitler sapeva di non poter rivelare pubblicamente le sue intenzioni nei confronti degli ebrei, e questo è un altro insegnamento che possiamo ricavare dal nazismo e della Shoah. Tra il ‘36 e il ‘39 i suoi discorsi pubblici sugli ebrei sono discorsi che parlano genericamente di un problema etnico locale, di questi ebrei che in qualche modo condizionavano il paese perché controllavano gran parte delle ricchezze, e tanti altri stereotipi. Ma non si azzardò a dire qualcosa di troppo, perché sapeva che la maggior parte dei tedeschi non lo avrebbe seguito. Inizialmente, dunque, svolge una propaganda su due livelli: la comunicazione pubblica e quella interna ai membri del partito, ai membri delle SA.

Le misure contro gli ebrei si evolvono in maniera ancor più decisa quando gli Stati Uniti entrano in Guerra. Ecco qui, dunque, l’antisemitismo apocalittico: Hitler diceva che non ci fossero stati gli ebrei, la Germania avrebbe già vinto il conflitto. Ed ecco quindi l’insegnamento, di quando la politica si fonda esclusivamente sulla ricerca del nemico. Quando parliamo di Stato Etnico, o confessionale, ecco qui che ci stiamo piano piano incamminando su quella strada: anche i tedeschi inizialmente non sapevano che stavano andando verso Auschwitz. Ma per curare una malattia non bisogna aspettare che questa raggiunga lo stato terminale, ma dobbiamo curare i sintomi molto prima che produca gli effetti che purtroppo abbiamo poi visto”.

A chiudere gli interventi è stato il sindaco di Genzano Carlo Zoccolotti che – nel suo discorso – si è ricollegato alla visita di Patrick Zaki, avvenuta nella giornata di ieri e culminata con la consegna della cittadinanza onoraria: “Arriviamo a questa giornata con dei sentimenti molto contrastanti. Vedendo il meccanismo che ha delineato bene il professore, in qualche modo ho pensato alla frase di Hannah Arendt “La banalità del male”. Ecco ieri pomeriggio è venuto a presentare il suo libro a Genzano Patrick Zaki e  -nel pomeriggio – abbiamo fatto il piccolo gesto di fargli firmare una panchina che gli avevamo dedicato nei momenti in cui era imprigionato in Egitto e insieme si cercava di fare verità su Giulio Regeni.

Ieri gli abbiamo donato dei libri, lo abbiamo invitato all’infiorata e donato il riconoscimento formale della cittadinanza di Genzano. Accanto a lui mi sono sentito un po’ piccolo perché, mentre camminavamo, ho pensato: “Questo ragazzo è stato due anni imprigionato, è stato torturato e ora noi firmiamo una panchina?” E invece, come lui ha più volte sottolineato, sono proprio questi piccoli gesti che fanno si che cambi realmente qualcosa.

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Perché dico questo? La Giornata della Memoria serve a noi per trarre un senso da tutto questo, ciò che facciamo ogni giorno sembra un po’ “La banalità de bene”, ma neanche ci rendiamo conto come spesso basti per cambiare la vita agli altri. Ecco, oggi, decine di migliaia di famiglie e bambini a Gaza oggi sono vittime di una guerra, ma non solo lì. Che facciamo tutti noi di fronte a questo? La risoluzione Onu che stata votata da almeno 150 Paesi non dà colpe, ma che dice “fermiamoci”. L’Italia ha scelto di astenersi.

Ci sono momenti della storia – anche piccola, anche personale, anche genzanese – nei quali non ci si può astenere, dove non si può fare solo un post su Facebook. La vita delle persone si cambia tutti i giorni, anche da Genzano, anche una strada da qua. Il mio augurio per voi, per noi e per questi ragazzi e ragazze, è che tutti insieme – come abbiamo fatto per Patrick Zaki e onorando i milioni di morti e Giulio Amati – è di riguadagnare un po’ di spirito, forza e coraggio grazie al quale noi possiamo riuscire a cambiare le cose”.

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